07/09/08

Il mistero delle bacchette cinesi

Ogni volta che si va al ristorante cinese o giapponese si ripropone il titanico scontro di civiltà rappresentato dal contrapporsi del frutto di millenni di evoluzione umana parallela: forchetta da una parte e bacchette di legno dall’altra.
La prima tentazione è quella di cercare di comportarsi da navigato cosmopolita, maneggiando sapientemente e con chirurgica precisione minuscoli chicchi di riso con lunghe bacchette di bambù.
Dopo i primi goffi tentativi i più onesti cedono, passando a comode e abbondanti cucchiaiate di riso cantonese, i più tenaci invece resistono l’intera cena, rischiando la tendinite.
A quel punto, mentre mi passo tra le dita questi bisbetici oggettini, giungo alla conclusione che forchetta e cucchiaio sono nettamente più adatti alla bisogna, e lo sono con una notevole dose di oggettività, a prescindere dalle differenze culturali.
Qui non si parla di religione o di tradizioni, si tratta di sollevare del riso da una scodella e portarlo alla bocca, è un problema funzionale e basta.
Il fatto che loro ci riescano facilmente non prova nulla, a quel punto sarebbe possibile anche mangiare un piatto di fagioli con una forcina per capelli o la pasta con le pinze.
Tutte le civiltà del passato si sono trovate a dover risolvere i medesimi problemi, poi uno ha trovato la soluzione migliore e quella è diventata di tutti. Quando Marconi ha inventato la radio il telegrafo è scomparso, quando i cinesi stessi hanno inventato la polvere da sparo nessuno ha tirato più pesanti massi con una catapulta, è un semplice discorso di progresso.
La migliore usabilità di forchetta e cucchiaio è evidente per ogni pietanza ma proprio nel riso trova uno schiacciante esempio di superiorità, tanto più che in Oriente qualche geniale precursore della modernità, resosi conto del problema, invece di passare al cucchiaio inventò un rivoluzionario sistema di alimentazione multichicco, cuocendo il riso in modo tale che il suo stesso amido lo appiccicasse in blocchi di 50-100 chicchi per velocizzare i pasti.
Per chi non fosse ancora convinto pongo il seguente quesito: mettiamo che un alieno sbarchi sul nostro pianeta e abbia, visto il lungo viaggio, una gran fame. Mettiamo che gli si offra una bella scodellona di riso e gli si porgano simultaneamente un cucchiaio e una coppia di bacchette di bambù: secondo voi quale userebbe?

28/08/08

Le cose che non vanno mai dette cap.1: B***a s****a

Non è possibile sfuggirgli. A volte lo vedo apparentemente distratto dalla mia fugace silhouette che sfila rapida verso l’uscita della palestra, seminascosto dietro al monitor del desk all’ingresso, concentratissimo a riorganizzare elenchi di soci e a scovare rette non pagate. Anche quelle volte, quando ormai con la porta semiaperta e mezzo corpo fuori penso di averla scampata, mi raggiunge con quelle due parole, affilate come katane di Hattori Hanzo: “Buona serata”.
Mi colpiscono come due fendenti, le interpretazioni a questo punto sono due:
1. Mi vede come un figo inseritissimo che, alle 22.19 di un piovoso mercoledì, non può che apprestarsi a vivere una scoppiettante serata piena di bollicine, risate e testosterone.
2. Mi vede come un mezzo sfigato cui nulla potrà evitare una serata anonima e conformista, fatta di solitudine e televisione satellitare e si diverte crudelmente a ricordarmelo.
Fatto sta che “Buona serata” non va mai detto. È profondamente diverso da “Buongiorno” e “Buonasera”, non è un cliché, una cortesia automatica, è un riferimento più pensato, preciso e ineluttabile, quasi un’intimazione. Può indurre in chi la riceve un pericoloso tourbillon di apocalittici pensieri: “Ma quale serata?”, quando magari se non te lo avessero detto saresti andato avanti così in automatico, senza leopardiani interrogativi.



05/08/08

Il Kirby. Tragedia in tre atti.

Prologo

Accende il mostro e comincia a passarlo sul divano. L'operazione dura 4-5 minuti e, a dire il vero, la trovo abbastanza faticosa. Ogni tanto mi lancia un'occhiatina furba come se stesse per accadere qualcosa di unico al mondo. Ma non succede nulla. Spegne il Kirby e mi guarda raggiante, aspettandosi una mia pirotecnica reazione che non c'è:

"...è....è un aspirapolvere" azzardo timidamente.

Si fa serissimo e aggressivo, come se non aspettasse altro: "Assolutamente no."

"è uno strumento professionale di pulizia e igienizzazione multilivello." Sembra Albert Speer che mostra le V2 al Fuhrer.

Prosegue: "La polvere è soltanto la nostra superficiale definizione di un complesso di insidiosi nemici"

A quel punto apre un gancio sullo strumento e tira fuori un mazzetto di dischi di carta più o meno luridi, comincia a mostrarmeli in serie:

Alza il primo disco come in un saluto romano e sentenzia: "Macropolvere"

Secondo disco: "Micropolvere"

Terzo disco: "Pulviscolo atmosferico"

Quarto disco: "Acari"

Si, bum! Comincio tangibilmente ad alterarmi...ha altri 3 dischi in mano, quindi presumo che possa proseguire fino alle particelle subatomiche. Lo blocco: "Guarda ti ringrazio ma non mi interessa, mi basta spazzare il complesso di insidiosi nemici con la scopa."


Atto I

Si fa grave, contrito, ascetico. Lo sguardo corre lontano, verso l'oscuro distale destino della razza umana: "Sai....il corpo umano è fatto da varie sfere, e tra queste ce n'è una che è la più pericolosa di tutte, e sapete quale?" Sembra il profeta Ezechiele sul fiume Chebar che aspetta trepidante un cenno dai discepoli, lo tolgo da quell'empasse: "No. Qual'è?". A quel punto non vedo come possa uscire dal discorso senza una sparata pseudofilosofica tipo: "la sfera dell'odio" o "la sfera della malvagità umana", invece risponde candidamente: "La sfera delle allergie" e con gestualità solenne sfila dal mostro un ultimo filtro circolare di carta completamente bianco e me lo mostra trionfante, a schiacciante sostegno della sua apocalittica visione della pulizia domestica. È uno straordinario e pasoliniano distillato dell'essenza dell'uomo, semplice e potente nel suo essere trash.


Atto secondo

Cautamente, forse troppo, cerco di approfittare di quel silenzio per inserirmi e cercare di liquidarlo ora: "Guarda, grazie....davvero non mi interessa", ma lo faccio senza troppa determinazione e lui contrattacca, "Aspetta, leggi questo. Io quando l'ho letto non ci potevo credere, mi veniva quasi da piangere..." tira fuori dalla tasca un foglio spiegazzato e me lo dà. È una lettera (ovviamente palesemente finta) di un cliente che racconta che la sua casa andò a fuoco in un incendio per poi crollare togliendogli tutto, anche un figlio. Quando le ruspe, dopo giorni di faticoso lavoro, sgombrarono le macerie, trovarono incredibilmente il Kirby illeso, senza un graffio e ancora perfettamente funzionante.

Mi strappa il foglio di mano e mi si fa sotto per confidarmi il segreto di quel miracolo, a me, solo a me in tutta la terra. Mi sussurra all'orecchio:

"Questo apparecchio è costruito con Kevlar di terza generazione, usato per le corazze protettive dei moderni carri armati e per i nuovi elmetti d'assalto...capisci?"

A quel punto non posso più tacere, devo fermare quel delirio: "Vabbè ma io ci devo pulire casa, mica fa' la guerra...".


Atto terzo

Sembra offeso fino al pertugio più recondito dell'anima. È ferito, deluso, come uno dei Re Magi cui Giuseppe avesse tirato dietro la mirra.

Con aria distaccata mi chiede: "posso fare una telefonata?". Mi sorprende ma al tempo stesso mi conforta. perchè da una parte non mi aspettavo quella mossa, mentre dall'altra la interpreto come un gesto di resa che potrebbe liberarmi del figuro ridonandomi, almeno in parte, la mia mattinata. Ma mi sbaglio.

"Direttore?"

"Direttore mi sente?"

"Direttore ho qui un cliente che è un po' scettico,,,,Si...nonostante l'offerta....sì quella particolare....come dice? No....no direttore...non possiamo....è sicuro? Ma così ci andiamo a rimettere...non è possibile....1.200 euro? A INTERESSI ZERO??? Direttore...non me la sento...."

È veramente troppo, la finta telefonata è troppo: "Me lo passi per favore?" gli faccio diabolico. Lui saluta in fretta, attacca la cornetta e inscena la squallida parte: "il direttore è impazzito, le darebbe il prodotto...." Lo interrompo mettendogli paternamente una mano sulla spalla: "Basta."

e lui, colpito e affondato, con un filo di voce: "...a interessi zero..." - "Ti prego basta. Basta. Lo dico per te. Non c'è nessun direttore e il telefono non funziona. Per me può bastare così".

È annientato, svuotato, annullato. Cala un pesantissimo silenzio, insovvertibile e conclusivo. Lo conduco lentamente alla porta, come si porta un commilitone morente all'ospedale da campo.

31/07/08

1989

1989, perché pensavo che quando Neruda disse: Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni…” fosse vero.

Perché pensavo che avrei giocato per tutta la vita.

Perché pensavo che “i nodi prima o poi vengono sempre al pettine”.

Perché pensavo che compagni di scuola si resta per tutta la vita.

Perché pensavo che i gruppi rock si riunissero perché si mancavano a vicenda.

Perché pensavo di lasciare sempre il segno.

Perché pensavo che stare sotto casa a parlare fosse il massimo.

Perché pensavo che “Okkupare subito è fondamentale”.

Perché pensavo che con una Citroen bianca sarei potuto arrivare in capo al mondo.

Perché pensavo che la Germania Est vinceva le Olimpiadi perché era forte.

Perché pensavo che “l’Attimo fuggente” avrebbe spaccato in due una generazione.

Perché pensavo che “un uomo e una donna non possono essere amici se uno dei due trova l’altro attraente”.

Perché pensavo che saremmo passati alla storia.

Perché pensavo che a vent’anni sarei stato grande.

30/07/08

Il Senior Cap.1

Appena arrivato si attira subito gli sguardi ostili degli altri creativi; il supercomputer a doppio processore che gli è stato certosinamente preparato da giorni e giorni gli ha fatto una pessima pubblicità. Ma è forte di un battage di tutto rispetto: viene da La Grande Agenzia (si veda post relativo). È un senior.

Nei primi giorni si aggira come se fosse lì da sempre, elargendo generosi e rassicuranti sorrisi ai discepoli senza guida che incontra nel corridoio. Ma sempre senza dare quel tanto di confidenza in più che potrebbe abbassarne il profilo.

Passano i giorni e il suo atteggiamento è perfetto: si ambienta subito, dà consigli, ostenta sicurezza, sfoglia contrito voluminosi annual. È navigatissimo. È lo stesso atteggiamento sfrontato e sicuro che ci permette di passare alla metro senza biglietto.

Tra i più attenti della truppa cominciano a serpeggiare i primi sospetti.

Si trattiene a volte nelle stanze altrui a  narrare le proprie gesta passate, anche solo en passant, senza troppa enfasi: lavori, collaborazioni, siti, citazioni, agenzie varie, premi, shortlist.È un marker importante: chi è forte non lo dice mai, né cerca di indurre gli altri a pensarlo.

È come se Federer sentisse l’esigenza di sottolineare di aver vinto 5 Wimbledon prima di affrontare il finlandese Nieminen.

Passano settimane e il personaggio è ormai delineato. È riuscito a mantenere quella posizione di privilegio dalla quale sarà molto difficile tornare indietro. È la forza d’inerzia, una legge fisica cui tutti dobbiamo sottostare. Questa situazione gli permetterà quindi di circondarsi di un’aura di consolidata superiorità, stoppare di petto i brief e smistarli di piatto ai sottoposti, come se un’investitura divina lo rendesse immune ai lavori di merda. I Direttori creativi si sentiranno a quel punto quasi in obbligo di affidargli intuitu personae i brief più creativi. E il tutto senza aver ancora fatto nulla di nulla. È marketing sopraffino. Un miracolo di strategia.

27/07/08

Verde matematico

"Quando si è giovani come te, Zanardi, non si crede a un destino cattivo, poi però ci si accorge che il destino è aiutato da ciò che siamo riusciti a mettere insieme, ed è questo insieme, alla fine, che decide per noi.
Pure caro Zanardi, esistono delle regole che ci vietano di confidare in un miracolo.

E’ assurdo pensare di ritrovarsi un giorno colti, quando non si è letto un libro, o rispettati, se ci si è sempre comportati ingiustamente.

Questi sono miracoli che non possono succedere, così come dal giallo con l’azzurro nascerà sempre il verde, non il rosa o il marrone: è verde. Verde matematico."


Da "Verde Matematico" di Andrea Pazienza.

25/07/08

Il discorso di Superman

Ci sono film in cui se si facesse un time out dopo 25 minuti, si potrebbe già dire per certo chi morirà, chi ucciderà, chi piangerà, chi riderà, chi scoperà, chi tornerà a casa ecc.

Fortunatamente esistono capolavori come il mio film preferito (Leone escluso ovviamente): Kill Bill.

Se vi chiedessero di immaginarvi una scena finale in cui la protagonista, dopo una lunga scia di sangue per giungere ad uccidere il suo amore, reo di aver tentato di ammazzare lei e il nuovo marito per gelosia, è costretta invece, per effetto di un dardo paralizzante che lui le spara, ad ascoltare le ragioni di lui, pensereste mai di partire da Superman?

Alla fine sembra invece che non esistano altri modi all'infuori di quello per spiegare la cosa.


23/07/08

La Grande Agenzia

Emergendo di un'incollatura da una tumultuosa moltitudine di aspiranti discepoli, utilizzando le bassezze più becere, millantando conoscenze mai avute e ingannando astutamente scaltrissime "segretarie-filtro" con frasi del tipo: "Sono il Cav. Giannuzzi di Jaguar Italia...", finalmente sono di fronte al massiccio portone de "la Grande Agenzia".
So di essere finalmente ben attrezzato, ho imparato che per distinguersi dalla massa è richiesto un book altamente competitivo, con un livello di creatività elevato, fresco, aggiornato, nuovo. Trattamenti moderni, alla moda. Attenzione ai nuovi media, ambient, guerrilla marketing, viral, multimedialità. Ad ogni chart bisogna stupire, non essere mai ovvi, mai didascalici, ma i già visti.
Una segretaria, che in quella situazione mi sembra molto più attraente di quello che è, mi conduce lungo un interminabile corridoio fino in sala riunioni. Sbircio dentro le varie stanze il più possibile, cercando di immaginarmi lì, inseritissimo e impegnato in fruttuosissimi brainstorming con copywriters in minigonna, ma dura poco.
In sala riunioni mi siedo e osservo l'enorme logo dell'agenzia a bassorilievo che campeggia littorio sopra di me. Stringo forte il portfolio, cercando di scacciare lo sciame di dubbi che d'improvviso cominciano a ronzargli attorno.
Poi entra lui, palesando l'aria grave e trafelata di uno che è stato fino ad allora impegnato in gravosi progetti da cui dipendono le sorti del pianeta, che riprenderà prontamente subito dopo il nostro colloquio.
Assume una posizione molto teatrale, nel tentativo di darsi un tono e richiamare a se tutto il suo carisma, che riesco invece subito a percepire pari a quello di Paperoga in depressione.
Qualche convenevolo che non decolla, non rompe il ghiaccio, provo una battuta abbastanza spiritosa, ma evidentemente non abbastanza. Lui, serissimo, sta leggendo il curriculum con un aplomb glaciale; è impietrito, quasi fosse una dichiarazione di guerra, ma in realtà è soltanto un atteggiamento, si vede chiaramente. Percepisco nitidamente la formalità, la prassi, il disinteresse, la noia. Inizia a sfogliare il portfolio in un silenzio assordante, si crea nel frattempo un'atmosfera da lusso decadente, di dramma da tardo impero.

Vedo i miei layout scorrere come carte nelle mani di un navigato croupier, con un ritmo perfettamente cadenzato: le campagne uscite, i fake, gli ambient, il btl, il packaging. Stesso tempo al millesimo per ognuno. Tutto lo strategico ordine che avevo escogitato il giorno prima viene divorato in un minuto e quarantacinque di nastro trasportatore. Verrebbe quasi voglia di inserire una foto porno tra i layout per vedere se riesca magari a inceppare quel meccanismo. Quando ha finito il mazzo, tutti i commenti che avevo previsto di fare via via, tipo: "...qui abbiamo scattato e poi aggiunto il 3D..." o: "...qui ho lavorato con Tizio e qui con Caio..." si ammassano tutti insieme nello stesso drammatico istante, con il risultato che non dico proprio nulla e in me si fa strada un sentimento a metà tra la rabbia e la tristezza. La rabbia è un sentimento troppo nobile per lui e la tristezza troppo generoso. La mancanza di rispetto la sento forte e chiara, ma non dico comunque nulla, la sua energia negativa mi ha totalmente annullato. Lui comincia così a parlare della sua agenzia: "Abbiamo quello e quell'altro cliente..." "...abbiamo girato questo spot qui recentemente..." ma lo fa senza smalto, è bolso, consumato, dimesso, senza forza vitale, schiavo di un personaggio costruito solo su una poltrona, su un ruolo, su quei forzati e caricaturali atteggiamenti di superiorità che servono solo ad autodeterminarsi, a sentirsi ancora vivi. Vorrei averlo notato ma non posso fare a meno di farlo.
Pensando queste cose mi assento e penso: perché non alzi la testa e non dici con voce fiera : “Senti, noi siamo una multinazionale e come tale siamo legati a delle direttive che ci vengono dall’estero, purtroppo questo è un periodo difficile e invece di un plus diventa un minus. Allo stato attuale facciamo quindi molti adattamenti, btl e pop, e neanche di altissimo livello.
La creatività pura fresca, moderna, le idee nuove e graffianti che pretendo di vedere nei book non le facciamo da millenni, i guerrilla, gli ambient e i viral di cui lamento sempre la mancanza nei portfoli di chi viene a fare i colloqui in realtà, non solo non li abbiamo mai fatti, ma nemmeno mai visti in giro fatti da altri.
So che sembra assurdo, che appare tutto come un gigantesco bluff, una truffa bella e buona. Ma c'è un motivo, ed è quello che io non mollo. Credo invece che tutto ciò debba cambiare e farò di tutto perché questo avvenga, qui dentro prima che altrove. Perché penso che la pubblicità non sia stare incollato a una poltrona a rimpiangere il passato e guadagnarsi la pagnotta, ma si nutra invece di stimoli continui, di confronti quotidiani, di entusiasmi collettivi, di limiti da porsi, di obiettivi lontani, di energie comuni, di sintonie da costruire, di crescita, di rinnovamento, di idee da portare avanti comunque, anche imponendole, di sacrifici, di rischi, di rinunce, di grandi gioie e di indicibili sofferenze. Questo è quello che io voglio fare, e se anche tu ci credi ti prometto che, quando sarà il momento, io ti cercherò.” .
Vengo invece distolto dal mormorio monotono del suo sermone che è giunto alla fine: “complimenti e grazie mille per essere venuto, abbiamo i suoi riferimenti, le faremo sapere quanto prima, arrivederci”.
Si gira e si avvia frettolosamente verso il buio da cui era venuto. Come un topolino sfreccia verso la tana.