27/02/09

Treni.

Ogni sera, tornando a casa prendevo il treno.
Guardavo i palazzi dal finestrino scorrere in una carrellata infinita e irripetibile.
In quelle finestrelle lontane a volte, come un inestimabile dettaglio rubato, riuscivo a fermare un poster, un libro su una mensola, una chitarra al muro.
Solo per un istante, prima che il treno li lasciasse inesorabilmente indietro, per sempre.
Pensavo a chi avesse letto quei libri, comprato quei poster, o a chi avesse suonato quella chitarra e composto canzoni per dedicarle a qualcun’altro. Pensavo a come sarebbe stata la mia vita dentro uno di quei quadratini di luce, in una qualsiasi di quello sciame impazzito di storie che turbinavano fuori dal finestrino.
Ma anche quella sera, come centinaia di altre, mi ero lasciata trasportare sui binari per tornare a nuotare in un mare sicuro, dove non si urtano mai gli spigoli, dove è sempre domani che si vivrà davvero.
Facendo finta di voler camminare un po’ finalmente faccio quello che 100 volte ho desiderato. Scendere alla stazione prima e avviarmi verso i palazzi sulla collina a lato della ferrovia. Non so perché ma proseguo spedita come se avessi davvero un posto da raggiungere.
La strada è deserta, c’è poca luce.
In fondo intravedo qualcosa: è un uomo con un cane.
Lo fermerei per raccontargli tutto di me e lui mi ascolterebbe in silenzio, carezzando amorevolmente il suo cane, per poi dire qualcosa che mi sembrerà di aver sempre saputo e che solo lui al mondo poteva tirarmi fuori dall’anima.
Gli direi “Ho sempre sbagliato tutto, ma proprio per quello so che ora sto facendo la cosa giusta…”
Poi lo seguirei e entrerei nella sua vita come se ci fossi sempre stata.
Intanto lui è quasi davanti a me, lo guardo per un attimo. Mi fermo. Il vento gelido alza un vortice di foglie. Stiamo lì fermi, come due cacciatori in una steppa ostile e sconfinata.Poi lui avanza e io lo lascio sfilare. Mi passa accanto e và. Portandosi via tutto quello che sono davvero e lasciandomi soltanto ciò che non sarò mai.
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Ogni sera, tornato a casa, guardavo dalla finestra quel treno correre.
Nel buio dell’orizzonte erano solo una fila di finestrini illuminati, come tante lucciole in fila indiana. A volte in uno di quei finestrini riuscivo a intuire una persona, una storia, un percorso, non una testolina qualsiasi intravista dietro un vetro. Ma comunque solo per un attimo, prima che il treno se la portasse inesorabilmente via per sempre.
Pensavo a come sarebbe stata la mia vita se fossi salito su quel treno,
senza sapere dove andava e mi fossi lasciato trasportare sui binari per andare a nuotare in un mare nuovo, dove non c’è nulla di scontato, dove si vivrà davvero.
Raccontandomi di voler cambiare percorso col cane, allungo fino alla strada a lato della ferrovia e mi dirigo spedito verso la stazione.
Accelero inconsapevolmente, come attratto da un’arcana legge gravitazionale.
La strada è buia ma in fondo vedo una figura: è una donna.
Se lei mi fermasse io l’ascolterei e mi racconterebbe tutto di se e mi direbbe qualcosa che avrei sempre voluto sentire.
Le direi “Ho sempre sbagliato tutto, ma proprio per quello so che ora sto facendo la cosa giusta…”
Per poi venire con me nella mia vita come se ci fosse sempre stata.
Mi è quasi di fronte, rallento fino quasi a fermarmi, la guardo diritto negli occhi.
Fa freddo. Si alza un vento leggendario.
Stiamo lì immobili, come due duellanti in una notte d’onore.
Poi tiro diritto, cercando di convincere me stesso, da subito e per sempre, di non averlo mai fatto.

10/01/09

Brevissimo trattato di fisica per poeti

Immaginate di dover comprare il latte. Uscite quindi di casa, andate a Fiumicino, prendete un volo per la Nuova Zelanda, da lì un traghetto per la Tasmania, poi in elicottero fino a Vostok in Antartide, per poi tornare in dirigibile a Wellington e tornare a Fiumicino via Bangkok, e in taxi alla latteria sotto casa. Dal punto di vista termodinamico avrete fatto esattamente la stessa cosa di uno che esce e va dal lattaio. La termodinamica tiene infatti conto solo degli stati iniziale e finale del sistema e non del percorso compiuto.La cinetica invece tiene conto della differenza di energia, quindi ci dà atto del culo enorme che ci siamo fatti a girare mezzo mondo per poi comprare un litro di latte sotto casa.
E ancora: vi siete mai chiesti perché la rana fa mille uova e poi se ne frega, mentre l’uomo fa un figlio solo e poi lo vizia fino a 30 anni? Alla fine 999 girini muoiono e gliene rimane uno, come a noi. Termodinamicamente il risultato è lo stesso, alla fine utilizzano la stessa energia, la rana tutta all’inizio, noi spalmata in 30 anni.
Non si tratta di un insieme di tediose formule che marciscono nei libri, ma di un principio universale applicabile a tutti gli aspetti della realtà e della vita.
Potremmo, ad esempio, presentarci in banca e dire: “Vorrei accendere termodinamicamente un mutuo, ma cineticamente non so come pagarlo...”
Oppure sentirsi dire da una donna: “Cineticamente ti amerei pure ma termodinamicamente resto con lui…”
Il problema è che scoprire la portata di tutto ciò è pericoloso, infatti chi si accorge della cosa è a forte rischio infelicità.
Come un certo signore che a Recanati nell’800 si accorse che la vita termodinamicamente non aveva alcun senso, e la sola cosa che ci restava da fare era naufragare dolcemente, e cineticamente, in questo mare.