31/07/08

1989

1989, perché pensavo che quando Neruda disse: Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni…” fosse vero.

Perché pensavo che avrei giocato per tutta la vita.

Perché pensavo che “i nodi prima o poi vengono sempre al pettine”.

Perché pensavo che compagni di scuola si resta per tutta la vita.

Perché pensavo che i gruppi rock si riunissero perché si mancavano a vicenda.

Perché pensavo di lasciare sempre il segno.

Perché pensavo che stare sotto casa a parlare fosse il massimo.

Perché pensavo che “Okkupare subito è fondamentale”.

Perché pensavo che con una Citroen bianca sarei potuto arrivare in capo al mondo.

Perché pensavo che la Germania Est vinceva le Olimpiadi perché era forte.

Perché pensavo che “l’Attimo fuggente” avrebbe spaccato in due una generazione.

Perché pensavo che “un uomo e una donna non possono essere amici se uno dei due trova l’altro attraente”.

Perché pensavo che saremmo passati alla storia.

Perché pensavo che a vent’anni sarei stato grande.

30/07/08

Il Senior Cap.1

Appena arrivato si attira subito gli sguardi ostili degli altri creativi; il supercomputer a doppio processore che gli è stato certosinamente preparato da giorni e giorni gli ha fatto una pessima pubblicità. Ma è forte di un battage di tutto rispetto: viene da La Grande Agenzia (si veda post relativo). È un senior.

Nei primi giorni si aggira come se fosse lì da sempre, elargendo generosi e rassicuranti sorrisi ai discepoli senza guida che incontra nel corridoio. Ma sempre senza dare quel tanto di confidenza in più che potrebbe abbassarne il profilo.

Passano i giorni e il suo atteggiamento è perfetto: si ambienta subito, dà consigli, ostenta sicurezza, sfoglia contrito voluminosi annual. È navigatissimo. È lo stesso atteggiamento sfrontato e sicuro che ci permette di passare alla metro senza biglietto.

Tra i più attenti della truppa cominciano a serpeggiare i primi sospetti.

Si trattiene a volte nelle stanze altrui a  narrare le proprie gesta passate, anche solo en passant, senza troppa enfasi: lavori, collaborazioni, siti, citazioni, agenzie varie, premi, shortlist.È un marker importante: chi è forte non lo dice mai, né cerca di indurre gli altri a pensarlo.

È come se Federer sentisse l’esigenza di sottolineare di aver vinto 5 Wimbledon prima di affrontare il finlandese Nieminen.

Passano settimane e il personaggio è ormai delineato. È riuscito a mantenere quella posizione di privilegio dalla quale sarà molto difficile tornare indietro. È la forza d’inerzia, una legge fisica cui tutti dobbiamo sottostare. Questa situazione gli permetterà quindi di circondarsi di un’aura di consolidata superiorità, stoppare di petto i brief e smistarli di piatto ai sottoposti, come se un’investitura divina lo rendesse immune ai lavori di merda. I Direttori creativi si sentiranno a quel punto quasi in obbligo di affidargli intuitu personae i brief più creativi. E il tutto senza aver ancora fatto nulla di nulla. È marketing sopraffino. Un miracolo di strategia.

27/07/08

Verde matematico

"Quando si è giovani come te, Zanardi, non si crede a un destino cattivo, poi però ci si accorge che il destino è aiutato da ciò che siamo riusciti a mettere insieme, ed è questo insieme, alla fine, che decide per noi.
Pure caro Zanardi, esistono delle regole che ci vietano di confidare in un miracolo.

E’ assurdo pensare di ritrovarsi un giorno colti, quando non si è letto un libro, o rispettati, se ci si è sempre comportati ingiustamente.

Questi sono miracoli che non possono succedere, così come dal giallo con l’azzurro nascerà sempre il verde, non il rosa o il marrone: è verde. Verde matematico."


Da "Verde Matematico" di Andrea Pazienza.

25/07/08

Il discorso di Superman

Ci sono film in cui se si facesse un time out dopo 25 minuti, si potrebbe già dire per certo chi morirà, chi ucciderà, chi piangerà, chi riderà, chi scoperà, chi tornerà a casa ecc.

Fortunatamente esistono capolavori come il mio film preferito (Leone escluso ovviamente): Kill Bill.

Se vi chiedessero di immaginarvi una scena finale in cui la protagonista, dopo una lunga scia di sangue per giungere ad uccidere il suo amore, reo di aver tentato di ammazzare lei e il nuovo marito per gelosia, è costretta invece, per effetto di un dardo paralizzante che lui le spara, ad ascoltare le ragioni di lui, pensereste mai di partire da Superman?

Alla fine sembra invece che non esistano altri modi all'infuori di quello per spiegare la cosa.


23/07/08

La Grande Agenzia

Emergendo di un'incollatura da una tumultuosa moltitudine di aspiranti discepoli, utilizzando le bassezze più becere, millantando conoscenze mai avute e ingannando astutamente scaltrissime "segretarie-filtro" con frasi del tipo: "Sono il Cav. Giannuzzi di Jaguar Italia...", finalmente sono di fronte al massiccio portone de "la Grande Agenzia".
So di essere finalmente ben attrezzato, ho imparato che per distinguersi dalla massa è richiesto un book altamente competitivo, con un livello di creatività elevato, fresco, aggiornato, nuovo. Trattamenti moderni, alla moda. Attenzione ai nuovi media, ambient, guerrilla marketing, viral, multimedialità. Ad ogni chart bisogna stupire, non essere mai ovvi, mai didascalici, ma i già visti.
Una segretaria, che in quella situazione mi sembra molto più attraente di quello che è, mi conduce lungo un interminabile corridoio fino in sala riunioni. Sbircio dentro le varie stanze il più possibile, cercando di immaginarmi lì, inseritissimo e impegnato in fruttuosissimi brainstorming con copywriters in minigonna, ma dura poco.
In sala riunioni mi siedo e osservo l'enorme logo dell'agenzia a bassorilievo che campeggia littorio sopra di me. Stringo forte il portfolio, cercando di scacciare lo sciame di dubbi che d'improvviso cominciano a ronzargli attorno.
Poi entra lui, palesando l'aria grave e trafelata di uno che è stato fino ad allora impegnato in gravosi progetti da cui dipendono le sorti del pianeta, che riprenderà prontamente subito dopo il nostro colloquio.
Assume una posizione molto teatrale, nel tentativo di darsi un tono e richiamare a se tutto il suo carisma, che riesco invece subito a percepire pari a quello di Paperoga in depressione.
Qualche convenevolo che non decolla, non rompe il ghiaccio, provo una battuta abbastanza spiritosa, ma evidentemente non abbastanza. Lui, serissimo, sta leggendo il curriculum con un aplomb glaciale; è impietrito, quasi fosse una dichiarazione di guerra, ma in realtà è soltanto un atteggiamento, si vede chiaramente. Percepisco nitidamente la formalità, la prassi, il disinteresse, la noia. Inizia a sfogliare il portfolio in un silenzio assordante, si crea nel frattempo un'atmosfera da lusso decadente, di dramma da tardo impero.

Vedo i miei layout scorrere come carte nelle mani di un navigato croupier, con un ritmo perfettamente cadenzato: le campagne uscite, i fake, gli ambient, il btl, il packaging. Stesso tempo al millesimo per ognuno. Tutto lo strategico ordine che avevo escogitato il giorno prima viene divorato in un minuto e quarantacinque di nastro trasportatore. Verrebbe quasi voglia di inserire una foto porno tra i layout per vedere se riesca magari a inceppare quel meccanismo. Quando ha finito il mazzo, tutti i commenti che avevo previsto di fare via via, tipo: "...qui abbiamo scattato e poi aggiunto il 3D..." o: "...qui ho lavorato con Tizio e qui con Caio..." si ammassano tutti insieme nello stesso drammatico istante, con il risultato che non dico proprio nulla e in me si fa strada un sentimento a metà tra la rabbia e la tristezza. La rabbia è un sentimento troppo nobile per lui e la tristezza troppo generoso. La mancanza di rispetto la sento forte e chiara, ma non dico comunque nulla, la sua energia negativa mi ha totalmente annullato. Lui comincia così a parlare della sua agenzia: "Abbiamo quello e quell'altro cliente..." "...abbiamo girato questo spot qui recentemente..." ma lo fa senza smalto, è bolso, consumato, dimesso, senza forza vitale, schiavo di un personaggio costruito solo su una poltrona, su un ruolo, su quei forzati e caricaturali atteggiamenti di superiorità che servono solo ad autodeterminarsi, a sentirsi ancora vivi. Vorrei averlo notato ma non posso fare a meno di farlo.
Pensando queste cose mi assento e penso: perché non alzi la testa e non dici con voce fiera : “Senti, noi siamo una multinazionale e come tale siamo legati a delle direttive che ci vengono dall’estero, purtroppo questo è un periodo difficile e invece di un plus diventa un minus. Allo stato attuale facciamo quindi molti adattamenti, btl e pop, e neanche di altissimo livello.
La creatività pura fresca, moderna, le idee nuove e graffianti che pretendo di vedere nei book non le facciamo da millenni, i guerrilla, gli ambient e i viral di cui lamento sempre la mancanza nei portfoli di chi viene a fare i colloqui in realtà, non solo non li abbiamo mai fatti, ma nemmeno mai visti in giro fatti da altri.
So che sembra assurdo, che appare tutto come un gigantesco bluff, una truffa bella e buona. Ma c'è un motivo, ed è quello che io non mollo. Credo invece che tutto ciò debba cambiare e farò di tutto perché questo avvenga, qui dentro prima che altrove. Perché penso che la pubblicità non sia stare incollato a una poltrona a rimpiangere il passato e guadagnarsi la pagnotta, ma si nutra invece di stimoli continui, di confronti quotidiani, di entusiasmi collettivi, di limiti da porsi, di obiettivi lontani, di energie comuni, di sintonie da costruire, di crescita, di rinnovamento, di idee da portare avanti comunque, anche imponendole, di sacrifici, di rischi, di rinunce, di grandi gioie e di indicibili sofferenze. Questo è quello che io voglio fare, e se anche tu ci credi ti prometto che, quando sarà il momento, io ti cercherò.” .
Vengo invece distolto dal mormorio monotono del suo sermone che è giunto alla fine: “complimenti e grazie mille per essere venuto, abbiamo i suoi riferimenti, le faremo sapere quanto prima, arrivederci”.
Si gira e si avvia frettolosamente verso il buio da cui era venuto. Come un topolino sfreccia verso la tana.

16/07/08

Rituali

Sera. Già da lontano può scorgersi l'adunata oceanica che occupa il piazzale davanti al ponte. Gli uomini, prevalentemente in camicia bianca, impugnano sontuosi cocktail scrutando con sguardo truce e concentratissimo nella moltitudine di persone, come cacciatori di frodo nella foresta. Sembra proprio che cerchino qualcuno o qualcosa di estremamente importante. Poche parole, qualche frase sussurrata al compagno con aria grave. Il gomito sul muretto, fumano lentamente, impostatissimi.

Stanno monitorando la presenza della suprema chimera che intasa il piazzale di macchine di ogni marca, che versa fiumi di profumo, che accende migliaia di lampade UV, che arruffa e pettina gigametri di capelli, cercano di individuare la concentrazione nell'aria del loro reale obiettivo, di quelle cinque lettere che rappresentano la più profonda ossessione di qualsiasi serata: "le fiche".

"Andiamo lì, ci sono le fiche", "…è pieno di fica così". Quale sia l'applicativo di queste fiche è problema complesso. La prima cosa che viene da pensare è che sia la recondita speranza di un contatto, di una conoscenza con "le fiche". Ma qui nessuno può essere tanto stupido da credere veramente al verificarsi di una simile eventualità.
È infatti in atto un circolo vizioso in cui in realtà tutto è completamente bloccato, uomini da una parte e donne dall'altra, blocchi contrapposti. Le donne camminano a 3 metri da terra, elevate al rango di semidee da fiumi di desiderio maschile frustrato, irrigidite dalla tangibile paura che quel qualcuno cui concedessero il 5% della loro confidenza voglia in realtà solo scoparsele.

I maschi di contro si inviperiscono sempre più, associandosi in branchi di lupi affamati che spendono fiumi di soldi, girando come trottole per la città e assediando locali alla ricerca di una conquista stellare che non ci sarà mai. In realtà sono loro stessi ad alimentare la cosa. Se ad esempio una donna non assumesse quell'atteggiamento, che ne so magari si girasse, sorridesse o dicesse qualcosa sfuggendo alle regole del circolo vizioso, sarebbero i maschi stessi i primi a sorprendersi e venire spiazzati per non concludere comunque nulla.

È una grottesca allegoria del corteggiamento animale con la differenza che quasi mai si conclude con l’accoppiamento. È apparenza allo stato brado.

Sfuggire a questo perverso meccanismo è difficile. In genere il branco si divide in due tronconi distinti: un primo blocco prosegue sulla stessa infruttuosa falsariga continuando a sbavare da lontano, o tentando disperati attacchi diretti senza alcuna speranza di successo. Questo gruppo si autoelimina dalla partita chiudendosi sempre più nel torvo buio del branco.

Un secondo gruppo decide invece di continuare la battaglia, usando geniali strategie bonapartiane. E' atteso da lunghissimi ed estenuanti corteggiamenti da gallo cedrone, irti di mille insidie, dove basta una parola fuori posto o un gesto sbagliato e si è irreversibilmente bruciati. È un codice di comportamento basato tutto sulla forma e poco sulla sostanza ed è quindi delicato come un velo di cristallo. Ogni espediente che serva ad aggirare lo scoglio può fare la differenza, la ricerca di una conoscenza in comune, di un aggancio soft, di un qualsiasi straccio di pista che possa portare alla rottura del ghiaccio.
A quel punto si è comunque soltanto all’inizio del cammino. Mantenere ora sempre il basso profilo, far sembrare che andarci a letto è l’ultimo dei nostri pensieri. Farsi vedere però anche figo, inserito, abbronzatissimo, felicissimo, splendido, realizzatissimo, motivato ed entusiasta. Ma sempre non troppo. Modularsi subito sulla lunghezza d'onda richiesta, sciogliere piano piano la diffidenza, rispettare i rituali, i formalismi, non sgarrare mai. Insomma diventa veramente un lavoro immane alla fine del quale, con una percentuale irrisoria rispetto al branco iniziale, l’ultimo manipolo di irriducibili eroi, a imperitura rappresentanza di un intero popolo di stakanovisti di aperitivi, cene e dopocene e inerpicandosi su una montagna costruita sui soldi, le lampade, le camice, le macchine e sul sudore di tutti, ottiene finalmente l’agognato trofeo.
E io che pensavo che certe cose avvenissero per caso.

13/07/08

Solo per chi vuole liberarsi.

Dobbiamo fare un esercizio mentale. Si tratta di un’esperienza davvero sorprendente perché quando la si fa si compie un upgrade estremamente significativo, è come togliersi una spessa patina che ci impedisce di pensare liberamente.
Quanti cittadini svizzeri ci sono a Roma in questo momento? Diciamo 10.000 per dire un numero qualsiasi. Mettiamo per assurdo che questa comunità improvvisamente entri in totale clandestinità, esca dai propri alberghi, dalle proprie case in affitto e costruisca una cittadella di baracche di lamiera e cartone e inizi a vivere nel degrado e nella sporcizia. Immaginiamo che ritiri tutti i propri bambini dalle scuole e li addestri all’accattonaggio e al furto, nel completo rifiuto del lavoro, della vita sociale, dei diritti dell'infanzia e della legge. Diventerebbe senza dubbio un problema, in quanto se si vuole vivere all’interno di un società straniera bisogna giocoforza accettarne le regole e rispettarne le leggi.
Parleremmo di razzismo? O esisterebbe semplicemente il problema? Prendiamo il caso dei Rom: per quanto mi riguarda non è l’essere Rom il problema, se fossero svizzeri o norvegesi per me sarebbe la stessa cosa. Si tratta semplicemente di un problema da risolvere.
Ma istantaneamente tutti i giornali, le radio, le televisioni, Strasburgo, spagnoli, opposizione, benpensanti di governo, Vaticano parlano massicciamente e sistematicamente di razzismo, xenofobia, paura del diverso, ignoranza, intolleranza, fascismo, nazismo.
Io personalmente non mi ci riconosco, ma penso comunque che il problema esista e sia anche di una certa gravità.
C’è semplicemente un apparato sovrastrutturale che sposta automaticamente la questione ogni qualvolta venga posta. È un gioco di prestigio in base al quale il problema miracolosamente sparisce e il tutto si sposta su un piano puramente ideologico.
Con il risultato che in tal modo il problema non si risolve affatto in quanto in realtà è di natura molto più pratica.
E c’è anche il paradosso: le statistiche del Viminale dicono che il 39% dei reati sono commessi da stranieri, tutti lo sanno e vogliono sicurezza, ma allo stesso tempo cercano una scappatoia per non dirlo, per aggirare la cosa, per non essere bollati inesorabilmente come razzisti. È diabolico.
Come gli isreaeliani, che quando vengono messi in difficoltà tirano fuori l'Olocausto. E ci sono mille altri esempi, basta capire il meccanismo e si è liberi per sempre dal giogo.
Cito ad esempio il referendum sul nucleare degli anni '80. Il problema andava posto: “Volete la bolletta raddoppiata, la luce solo 12 ore al giorno o il nucleare?”. Invece tutto fu traslato su un piano semplicisticamente emotivo, senza essere affrontato in maniera lucida e concreta. Alla fine sembrava quasi che un manipolo di scienziati pazzi volesse attentare al pianeta per il semplice gusto di farlo.
Di seguito riporto altri esempi dove scatta inesorabile la trappola: a sinistra dell’= il fatto, spesso inequivocabile, o l’opinione espressa; a destra il “marchio spostaproblema” .
Chiunque fosse riuscito a liberarsi può aggiungerne altri .

Gli immigrati compiono spesso reati = razzismo
Gli israeliani stanno ricostruendo il muro di Berlino = antisemitismo
Un bambino deve crescere con il padre e con la madre = omofobia
La storia del dopoguerra è stata scritta dai vincitori = fascismo
In Italia l'aborto è stato deciso da un referendum popolare = non rispetto della vita umana
La guerra in Iraq non ha alcun senso= comunismo
Hiroshima e Nagasaki sono tra i più grandi crimini della storia = nazismo
Il referendum sul nucleare ha aggravato il problema energetico = non rispetto dell’ambiente
Senza la sperimentazione animale l'85% dei farmaci non esisterebbe = vivisezionismo
I Led Zeppelin sono meglio dei Tokio Hotel = nostalgia

07/07/08

Le parole a volte bastano

Ci sono frasi che sentiamo da una vita, come dei dogmi immortali, tipo “…certe emozioni e certi momenti vanno vissuti, non si possono descrivere.”. Ma tutte le leggi universali hanno la loro eccezione infinitesimale che le rende regole, quindi qualcuno è riuscito a farlo. Catturare un’emozione e riuscire magicamente a conservarla e trasmetterla così com’è: immacolata, potente e inestimabile.

A quel punto non è più l’emozione di un altro, è diventata la nostra, siamo noi a viverla davvero ed è parte del nostro vissuto, ci è stata soltanto “regalata” da un altro.


Immaginate quindi di viaggiare da soli su un autostrada, di fermarvi a un Autogrill qualsiasi e di sedervi al banco, il resto non si può descrivere, ma solo provare...




05/07/08

Aperitivo a Fregene

Prendete un normalissimo stabilimento sulla spiaggia, diciamo a Fregene. Stabilimento di giovani, niente sdraio, solo lettini.

Prendete una lunga passerella di legno che termina in un gazebo, sempre di legno, dove la gente si ripara dalla canicola e consuma panini e bibite all’ombra. Nulla di strano, finchè il sole non si abbassa allungando il suo riflesso sull’acqua non balneabile color patè d’olive taggiasche. È quasi l’ora. È l’”Ape” (aperitivo).


Dal gazebo di prima spuntano enormi casse Bose fino ad allora coperte da un telo come opere da inaugurare, compare un dj mulatto e trendyssimo che prova cuffie e mixer con aria annoiata. Il gazebo, che fino a pochi minuti prima la gente insabbiava e smollicava, viene alla fine transennato dall’elemento chiave di questo crudele apparato: un grosso cordone di canapa. Il miracolo è compiuto: è stato creato il privilegio, il privè, il “dentro-fuori”, quella diabolica molla che viene fatta subdolamente scattare nella testa della gente per la quale chi entra è accettato e chi è fuori viene inesorabilmente relegato a uno stato sociale inferiore. L’unica apertura del cordone, quella con il gancio, viene presidiata da un ceffo ipervitaminizzato che diventa l’unico demiurgo di un grottesco giudizio universale. La gente sembra posseduta da un demone folle, si avvicina all’apertura del cordone all’inizio velocemente, nel tentativo di entrare poi, alle resistenze del ceffo, per non rimbalzare in maniera umiliante, finge di trovarsi lì per caso, allontanandosi lentamente nella speranza che nessuno abbia notato il rifiuto. Chi invece è dentro e ha amici fuori cerca di farli entrare, intercede con lo staff, studia strategie per riunirsi ai propri cari.


C’è un aspetto fortemente tribale in tutto ciò, in realtà non esiste nulla di concretamente agognabile oltre il cordone, aldilà di un paio di grossi cuscini e 4 tappeti, ciò che muove tutto è soltanto il desiderio di essere accettati, di diventare anche il più piccolo degli ingranaggi di una perversa fabbrica dei sogni. Ma non c’è nulla di spontaneo, non c’è divertimento reale, è tutto finto, è solo un avido baraccone che vende la panacea per i nostri profondi bisogni.

Come avrete già capito, io sono uno di quelli che non è entrato.