Emergendo di un'incollatura da una tumultuosa moltitudine di aspiranti discepoli, utilizzando le bassezze più becere, millantando conoscenze mai avute e ingannando astutamente scaltrissime "segretarie-filtro" con frasi del tipo: "Sono il Cav. Giannuzzi di Jaguar Italia...", finalmente sono di fronte al massiccio portone de "la Grande Agenzia". So di essere finalmente ben attrezzato, ho imparato che per distinguersi dalla massa è richiesto un book altamente competitivo, con un livello di creatività elevato, fresco, aggiornato, nuovo. Trattamenti moderni, alla moda. Attenzione ai nuovi media, ambient, guerrilla marketing, viral, multimedialità. Ad ogni chart bisogna stupire, non essere mai ovvi, mai didascalici, ma i già visti.
Una segretaria, che in quella situazione mi sembra molto più attraente di quello che è, mi conduce lungo un interminabile corridoio fino in sala riunioni. Sbircio dentro le varie stanze il più possibile, cercando di immaginarmi lì, inseritissimo e impegnato in fruttuosissimi brainstorming con copywriters in minigonna, ma dura poco.
In sala riunioni mi siedo e osservo l'enorme logo dell'agenzia a bassorilievo che campeggia littorio sopra di me. Stringo forte il portfolio, cercando di scacciare lo sciame di dubbi che d'improvviso cominciano a ronzargli attorno.
Poi entra lui, palesando l'aria grave e trafelata di uno che è stato fino ad allora impegnato in gravosi progetti da cui dipendono le sorti del pianeta, che riprenderà prontamente subito dopo il nostro colloquio.
Assume una posizione molto teatrale, nel tentativo di darsi un tono e richiamare a se tutto il suo carisma, che riesco invece subito a percepire pari a quello di Paperoga in depressione.
Qualche convenevolo che non decolla, non rompe il ghiaccio, provo una battuta abbastanza spiritosa, ma evidentemente non abbastanza. Lui, serissimo, sta leggendo il curriculum con un aplomb glaciale; è impietrito, quasi fosse una dichiarazione di guerra, ma in realtà è soltanto un atteggiamento, si vede chiaramente. Percepisco nitidamente la formalità, la prassi, il disinteresse, la noia. Inizia a sfogliare il portfolio in un silenzio assordante, si crea nel frattempo un'atmosfera da lusso decadente, di dramma da tardo impero.
Vedo i miei layout scorrere come carte nelle mani di un navigato croupier, con un ritmo perfettamente cadenzato: le campagne uscite, i fake, gli ambient, il btl, il packaging. Stesso tempo al millesimo per ognuno. Tutto lo strategico ordine che avevo escogitato il giorno prima viene divorato in un minuto e quarantacinque di nastro trasportatore. Verrebbe quasi voglia di inserire una foto porno tra i layout per vedere se riesca magari a inceppare quel meccanismo. Quando ha finito il mazzo, tutti i commenti che avevo previsto di fare via via, tipo: "...qui abbiamo scattato e poi aggiunto il 3D..." o: "...qui ho lavorato con Tizio e qui con Caio..." si ammassano tutti insieme nello stesso drammatico istante, con il risultato che non dico proprio nulla e in me si fa strada un sentimento a metà tra la rabbia e la tristezza. La rabbia è un sentimento troppo nobile per lui e la tristezza troppo generoso. La mancanza di rispetto la sento forte e chiara, ma non dico comunque nulla, la sua energia negativa mi ha totalmente annullato. Lui comincia così a parlare della sua agenzia: "Abbiamo quello e quell'altro cliente..." "...abbiamo girato questo spot qui recentemente..." ma lo fa senza smalto, è bolso, consumato, dimesso, senza forza vitale, schiavo di un personaggio costruito solo su una poltrona, su un ruolo, su quei forzati e caricaturali atteggiamenti di superiorità che servono solo ad autodeterminarsi, a sentirsi ancora vivi. Vorrei averlo notato ma non posso fare a meno di farlo.
Pensando queste cose mi assento e penso: perché non alzi la testa e non dici con voce fiera : “Senti, noi siamo una multinazionale e come tale siamo legati a delle direttive che ci vengono dall’estero, purtroppo questo è un periodo difficile e invece di un plus diventa un minus. Allo stato attuale facciamo quindi molti adattamenti, btl e pop, e neanche di altissimo livello.
La creatività pura fresca, moderna, le idee nuove e graffianti che pretendo di vedere nei book non le facciamo da millenni, i guerrilla, gli ambient e i viral di cui lamento sempre la mancanza nei portfoli di chi viene a fare i colloqui in realtà, non solo non li abbiamo mai fatti, ma nemmeno mai visti in giro fatti da altri.
So che sembra assurdo, che appare tutto come un gigantesco bluff, una truffa bella e buona. Ma c'è un motivo, ed è quello che io non mollo. Credo invece che tutto ciò debba cambiare e farò di tutto perché questo avvenga, qui dentro prima che altrove. Perché penso che la pubblicità non sia stare incollato a una poltrona a rimpiangere il passato e guadagnarsi la pagnotta, ma si nutra invece di stimoli continui, di confronti quotidiani, di entusiasmi collettivi, di limiti da porsi, di obiettivi lontani, di energie comuni, di sintonie da costruire, di crescita, di rinnovamento, di idee da portare avanti comunque, anche imponendole, di sacrifici, di rischi, di rinunce, di grandi gioie e di indicibili sofferenze. Questo è quello che io voglio fare, e se anche tu ci credi ti prometto che, quando sarà il momento, io ti cercherò.” .
Vengo invece distolto dal mormorio monotono del suo sermone che è giunto alla fine: “complimenti e grazie mille per essere venuto, abbiamo i suoi riferimenti, le faremo sapere quanto prima, arrivederci”.
Si gira e si avvia frettolosamente verso il buio da cui era venuto. Come un topolino sfreccia verso la tana.