30/11/08

In pala.

Pala. Ore 18,35.
La palestra si trasforma in un colorito assurdo bioparco in cui si aggirano personaggi che stanno allo sport come Bruno Vespa sta al sesso.
Un biondino slavato, coi capelli raccolti in una pseudoalternativa cipolletta, sbuffa sollevando goffamente due manubri, come un uccello estinto che tenta inutilmente di volare. L’eccessivo sviluppo muscolare su uno scheletro inadatto gli ha conferito un aspetto disarmonico, sembra il risultato di un esperimento errato della Guerra Fredda. Indossa in più un calzoncino molto attillato, con il malcelato scopo di mostrare la presunta iperdotazione virile a qualche donna di passaggio.
Una specie di orco delle fiabe invece solleva un enorme bilancere, emettendo ad ogni ripetizione un verso gutturale e ritmico, in un crescendo rossiniano che lo porta al grido liberatorio con cui lascia cadere l’attrezzo a terra, per far comprenderne a tutti il peso mostruoso.
Il resto è tutto un brulicare di cani secchi, omuncoli traccagnotti, bombolotti in pantacollant con pacco in evidenza, tutti si affannano soffrendo come schiavi tra cavi, manubri, sbarre, bilanceri, macchine di ogni tipo. Non solo non c'è nulla di sportivo ma la componente estetica è francamente grottesca.
Mi chiedo quale occulta molla psicologica possa portare un agente immobiliare pelato e semirachitico a infilarsi sotto una pressa per le gambe e farsi stritolare da dischi di acciaio o a sollevare pesi per poi rimetterli al loro posto, gesto che risulta termodinamicamente nullo, senza alcun senso fisico. Non c’è nulla di divertente, è sofferenza pura e assolutamente fine a se stessa.
Il problema è che 8 su 10 non hanno alcun motivo di essere lì, È come se Giuliano Ferrara si presentasse a un corso per trapezisti.
La prima cosa che viene in mente è che ci siano in realtà due obiettivi, uno a lungo termine e uno a breve. Il primo è il sogno di muscoli tonici e lucidi che verranno un giorno carezzati da donne bellissime ed eccitatissime, con conseguente incremento logaritmico di autostima e successo.
Il risultato a breve termine è un rimorchio istantaneo in palestra, cioè che una gnocca di passaggio, stimolata dall'uomo che suda sotto la panca, si faccia rimorchiare per concedersi poi in tempi brevi.
Se questo non fosse un post di un blog ma una parabola evangelica potrei dire:
non siamo obbligati ad essere per forza brillanti, o intelligenti, o belli, o sexy, non possiamo scegliere di esserlo. Ma siamo invece obbligati a essere quello che siamo, e soprattutto ad accettarlo.
Anche perchè Ferrara sul trapezio non vorrei vederlo mai.

15/11/08

Generazione di fenomeni siamo noi

Tutta la nostra vita è stata caratterizzata da un perverso apparato ideologico che i nostri genitori hanno applicato sulle nostre imberbi menti.
Voi avete tutte le possibilità, quando eravamo giovani noi non c’era nulla, allora sì che bisognava farsi il culo…”
“C’era la guerra…altro che internet…”
“La fame…la fame vera!”
“Bastavano la salute e 'n par de’ scarpe nove.”
Insomma alla fine siamo cresciuti con la convinzione di essere un branco di smidollati che si crogiolano tra agi e mollezze grazie al sacrificio degli avi, esempio di abnegazione, sacrificio e coraggio.
Il tutto viaggia indisturbato fino a che nelle nostre menti, qualora riescano miracolosamente a dotarsi del libero arbitrio, si compiono una serie di semplici passi logici:
Quando c’era la guerra avevano 3 anni o non erano nemmeno nati.
Loro cercavano lavoro e casa durante il boom economico, noi in crisi finanziaria globale.
Loro contratti a tempo indeterminato e tennis aziendale, noi precariato e co.co.co.
Loro hanno consumato tutto il petrolio, fregandosene degli effetti, e ci hanno passato il problema.
Loro Woodstock noi 11 settembre, loro strisce bianche noi strisce blu.
Insomma alla fine, era tutta una bufala, e la cosa non mi dà ne soddisfazione nè orgoglio generazionale, ma soltanto una preoccupazione: se un giorno avrò un figlio, quando gli dirò: “Quando era giovane papà era un inferno, ora per voi è una passeggiata...” speriamo che sia vero.

01/11/08

Colui che move il sole e l'altre stelle.

L'avevo conosciuta in spiaggia, lei in vacanza coi genitori, io con gli amici. Una storiella estiva come tante. Me ne ero tornato a Roma con un pò di semplice magone, quando mi colse.
Venne così, semplicemente, senza avvisare. Devastante, puro, incontrollabile. La meravigliosa privazione istantanea di tutto, di ogni sostegno vitale, di qualsiasi senso critico e razionale, la voglia di portarmela via per tutta la vita, per sempre con me. Fidanzare, sposare, casa, cani, spesa, figli, crescere, invecchiare e morire con lei accanto.
Tutto insieme, in un solo istantaneo big bang.

E venne quando lei non c'era, era rimasta al mare. Arrivai a Termini, feci di corsa il biglietto sola andata per Palinuro e montai sul primo treno, 400 km di notte sdraiato davanti al ripugnante cesso di un vagone di seconda classe, ma con il fare grave di chi insegue un segretissimo e supremo obiettivo.
Scesi dal treno alle 2 di notte, col cuore in gola, corsi a perdifiato verso il mare. Percorsi il vialetto verso la spiaggia come un ossesso.
L’avrei trovata seduta a guardare il mare.
L’avrei trovata che dormiva in tenda e l’avrei svegliata, terrorizzandola.
L’avrei trovata al bar chiuso del villaggio a parlare con un’amica.
La trovai in spiaggia. C’era un falò e c'era lei. E c’era lui.
Entrai nel cerchio come un automa. Si fece il gelo, il rumore del mare tornò di colpo protagonista della scena. Lei mi guardò sconvolta, si scansò dal tipo di botto, buttandolo sulla sabbia come uno straccio da cucina. Ero svuotato, privato dell’anima da un demone occulto.
Mi sentii come un Dio greco che compare a un personaggio omerico, mentre i ragazzi del gruppo invece mi guardavano come se se gli si fosse reincarnato davanti Jimi Hendrix chiedendogli di poter suonare al loro falò.
Mi voltai e mi avviai spedito verso il vialetto. E non mi girai. Quando ogni singola cellula del mio corpo voleva farlo, non mi girai. Camminando sulla sabbia sentivo il commentare estereffatto dei suoi amici confondersi via via in un vociare indistinto. Cercai con tutte le forze di sentire i suoi passi corrermi dietro. In un unico mitologico istante vidi lei abbracciarmi, piangere, baciarmi, vidi noi salire sul treno per Roma la notte stessa senza biglietto, dormire abbracciati nel bagno del treno. Ma non successe nulla.
Così, camminando all’alba verso la stazione del treno, colui che move il sole e l'altre stelle se ne andò così com'era venuto, mentre un camion di mozzarelle spariva nel rosso dell’alba, lasciando il posto a un un semplicissimo dolore, comune, quasi ovvio.
E me lo assaporai tutto fino in fondo quel dolore, forse perché, come disse qualcuno, è il dolore la suprema emozione di cui l’uomo è capace.