01/11/08

Colui che move il sole e l'altre stelle.

L'avevo conosciuta in spiaggia, lei in vacanza coi genitori, io con gli amici. Una storiella estiva come tante. Me ne ero tornato a Roma con un pò di semplice magone, quando mi colse.
Venne così, semplicemente, senza avvisare. Devastante, puro, incontrollabile. La meravigliosa privazione istantanea di tutto, di ogni sostegno vitale, di qualsiasi senso critico e razionale, la voglia di portarmela via per tutta la vita, per sempre con me. Fidanzare, sposare, casa, cani, spesa, figli, crescere, invecchiare e morire con lei accanto.
Tutto insieme, in un solo istantaneo big bang.

E venne quando lei non c'era, era rimasta al mare. Arrivai a Termini, feci di corsa il biglietto sola andata per Palinuro e montai sul primo treno, 400 km di notte sdraiato davanti al ripugnante cesso di un vagone di seconda classe, ma con il fare grave di chi insegue un segretissimo e supremo obiettivo.
Scesi dal treno alle 2 di notte, col cuore in gola, corsi a perdifiato verso il mare. Percorsi il vialetto verso la spiaggia come un ossesso.
L’avrei trovata seduta a guardare il mare.
L’avrei trovata che dormiva in tenda e l’avrei svegliata, terrorizzandola.
L’avrei trovata al bar chiuso del villaggio a parlare con un’amica.
La trovai in spiaggia. C’era un falò e c'era lei. E c’era lui.
Entrai nel cerchio come un automa. Si fece il gelo, il rumore del mare tornò di colpo protagonista della scena. Lei mi guardò sconvolta, si scansò dal tipo di botto, buttandolo sulla sabbia come uno straccio da cucina. Ero svuotato, privato dell’anima da un demone occulto.
Mi sentii come un Dio greco che compare a un personaggio omerico, mentre i ragazzi del gruppo invece mi guardavano come se se gli si fosse reincarnato davanti Jimi Hendrix chiedendogli di poter suonare al loro falò.
Mi voltai e mi avviai spedito verso il vialetto. E non mi girai. Quando ogni singola cellula del mio corpo voleva farlo, non mi girai. Camminando sulla sabbia sentivo il commentare estereffatto dei suoi amici confondersi via via in un vociare indistinto. Cercai con tutte le forze di sentire i suoi passi corrermi dietro. In un unico mitologico istante vidi lei abbracciarmi, piangere, baciarmi, vidi noi salire sul treno per Roma la notte stessa senza biglietto, dormire abbracciati nel bagno del treno. Ma non successe nulla.
Così, camminando all’alba verso la stazione del treno, colui che move il sole e l'altre stelle se ne andò così com'era venuto, mentre un camion di mozzarelle spariva nel rosso dell’alba, lasciando il posto a un un semplicissimo dolore, comune, quasi ovvio.
E me lo assaporai tutto fino in fondo quel dolore, forse perché, come disse qualcuno, è il dolore la suprema emozione di cui l’uomo è capace.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Che tranvata...

Anonimo ha detto...

quanto c'è di autobiografico in questo racconto??

Anonimo ha detto...

Beh..poteva andare peggio, potevi finì sotto al camion di mozzarelle.

Anonimo ha detto...

Bellissimo. Bravo.

Anonimo ha detto...

A Simò m'hai fatto ripensà a certe estati...il problema è che mentre le vivi quelle cose nn ti rendi conto di quanto sono preziose e di quanto poi diventa tutto più complicato e celebrale...grazie.

Anonimo ha detto...

A Simó .... ma te lo ricordi ? Palinuro, 1988 villaggio "Blue Marlin Club" ? Che spasso .....