05/12/08

Il patriota

Un agile e affusolato motoscafo taglia le reti di protezione del porto, scivola nella notte all’interno della breccia aperta. Poi a motori spenti passa a pochi metri da gigantesche fregate e cacciatorpediniere che sembrano mostri marini addormentati. Il capitano è sdraiato a prua, con gesti della mano dirige gli uomini, si avvicina il più possibile alla nave più grossa. Il rischio è folle, possono udirsi le voci straniere provenire dal ponte. Il pensiero corre a quando bambino andava a pesca col padre e navigavano al buio per non far fuggire i tonni. Troppo vicino, troppo, basta un cigolio, un colpo di tosse e la vita finisce. Ma con quella strana tranquillità che dicono prenda quando si è così vicini alla morte, avanza ancora.
A 30 metri dalla murata della nave abbassa la leva. Parte il siluro, un botto tremendo squarcia la notte. Approfittando della confusione riesce a fuggire e rientrare alla base, mentre 21.595 tonnellate di acciaio colano a picco.
Rientrato alla base trova una donna in casa, è bellissima. Lei gli dice di voler compiere un’azione dimostrativa contro gli invasori, salire in cima al quartier generale nemico e sostituire la bandiera con la nostra. Lui la sconsiglia, è una follia, lei sparisce. Lui si pente, il pensiero di lei gli riempie il petto. Giorni dopo viene a sapere che una donna è salita sul campanile e ha sostituito la bandiera, è stata arrestata e interrogata, forse torturata, ma è riuscita a fuggire. La cerca dappertutto ma non la trova, viene decorato e richiamato in servizio. Ma proprio mentre sta riprendendo il mare lei al porto gli si para davanti: "Vai. se torni ci rivedremo" gli dà un indirizzo e riscompare tra la folla.
Passano i giorni, sono giorni di routine, di pattugliamento in mare aperto. Fino all'ultima sera prima della licenza, è una sera strana, di luna piena. Mentre sta rientrando in porto il pensiero va a lei. Ma vede un sottile filo di fumo nero all’orizzonte. Prende il binocolo, un brivido: è la regina delle corazzate nemiche scortata da altre sei imbarcazioni. L'ha vista solo lui, sul cassero, il porto è ad un paio d'ore. Le decisioni più importanti della vita a volte vanno prese in pochi secondi, perchè il cuore ragiona molto più velocemente del cervello.
Fa girare il motoscafo e raggiunge il convoglio, viene avvistato ma, approfittando dell'agilità del piccolo mezzo si infila tra le navi di scorta mentre le cannonate alzano colonne d’acqua a pochi metri. Mentre nell'inferno di acqua e fuoco lancia il siluro, pensa a una donna, sola su un campanile, che issa una bandiera.
Il siluro centra la gigantesca imbarcazione proprio sotto il galleggiamento, viene a sua volta colpito ma riesce miracolosamente a fuggire.
Rientrando in porto issa una grande bandiera, enorme, smisurata per un’imbarcazione tanto piccola. Da terra si guardano esterefatti, non capiscono quel gesto ma intuiscono che qualcosa di grosso è successo. Corre da lei. Entra di notte in casa e la sveglia: “Sposami, domani. Forse dopodomani sara troppo tardi.”
Ma questa storia non è perfetta per un film? 

E che bel film sarebbe stato. Se solo lui non fosse stato Luigi Rizzo nato a Milazzo, se solo la grande bandiera non fosse stata italiana, se solo il motoscafo non fosse stato un MAS 15, se solo le corazzate non fossero state la Vienna e la Santo Stefano e se solo non fosse stato il 1915.
Se la cinematografia USA avesse avuto questo personaggio da glorificare sull'altare del patriottismo avrebbe sommerso il pianeta sotto un oceano di colossal dedicati alla sua vita ed alle sue imprese.
Ma la storia si sa, la scrivono i vincitori. A meno che non siamo noi.

30/11/08

In pala.

Pala. Ore 18,35.
La palestra si trasforma in un colorito assurdo bioparco in cui si aggirano personaggi che stanno allo sport come Bruno Vespa sta al sesso.
Un biondino slavato, coi capelli raccolti in una pseudoalternativa cipolletta, sbuffa sollevando goffamente due manubri, come un uccello estinto che tenta inutilmente di volare. L’eccessivo sviluppo muscolare su uno scheletro inadatto gli ha conferito un aspetto disarmonico, sembra il risultato di un esperimento errato della Guerra Fredda. Indossa in più un calzoncino molto attillato, con il malcelato scopo di mostrare la presunta iperdotazione virile a qualche donna di passaggio.
Una specie di orco delle fiabe invece solleva un enorme bilancere, emettendo ad ogni ripetizione un verso gutturale e ritmico, in un crescendo rossiniano che lo porta al grido liberatorio con cui lascia cadere l’attrezzo a terra, per far comprenderne a tutti il peso mostruoso.
Il resto è tutto un brulicare di cani secchi, omuncoli traccagnotti, bombolotti in pantacollant con pacco in evidenza, tutti si affannano soffrendo come schiavi tra cavi, manubri, sbarre, bilanceri, macchine di ogni tipo. Non solo non c'è nulla di sportivo ma la componente estetica è francamente grottesca.
Mi chiedo quale occulta molla psicologica possa portare un agente immobiliare pelato e semirachitico a infilarsi sotto una pressa per le gambe e farsi stritolare da dischi di acciaio o a sollevare pesi per poi rimetterli al loro posto, gesto che risulta termodinamicamente nullo, senza alcun senso fisico. Non c’è nulla di divertente, è sofferenza pura e assolutamente fine a se stessa.
Il problema è che 8 su 10 non hanno alcun motivo di essere lì, È come se Giuliano Ferrara si presentasse a un corso per trapezisti.
La prima cosa che viene in mente è che ci siano in realtà due obiettivi, uno a lungo termine e uno a breve. Il primo è il sogno di muscoli tonici e lucidi che verranno un giorno carezzati da donne bellissime ed eccitatissime, con conseguente incremento logaritmico di autostima e successo.
Il risultato a breve termine è un rimorchio istantaneo in palestra, cioè che una gnocca di passaggio, stimolata dall'uomo che suda sotto la panca, si faccia rimorchiare per concedersi poi in tempi brevi.
Se questo non fosse un post di un blog ma una parabola evangelica potrei dire:
non siamo obbligati ad essere per forza brillanti, o intelligenti, o belli, o sexy, non possiamo scegliere di esserlo. Ma siamo invece obbligati a essere quello che siamo, e soprattutto ad accettarlo.
Anche perchè Ferrara sul trapezio non vorrei vederlo mai.

15/11/08

Generazione di fenomeni siamo noi

Tutta la nostra vita è stata caratterizzata da un perverso apparato ideologico che i nostri genitori hanno applicato sulle nostre imberbi menti.
Voi avete tutte le possibilità, quando eravamo giovani noi non c’era nulla, allora sì che bisognava farsi il culo…”
“C’era la guerra…altro che internet…”
“La fame…la fame vera!”
“Bastavano la salute e 'n par de’ scarpe nove.”
Insomma alla fine siamo cresciuti con la convinzione di essere un branco di smidollati che si crogiolano tra agi e mollezze grazie al sacrificio degli avi, esempio di abnegazione, sacrificio e coraggio.
Il tutto viaggia indisturbato fino a che nelle nostre menti, qualora riescano miracolosamente a dotarsi del libero arbitrio, si compiono una serie di semplici passi logici:
Quando c’era la guerra avevano 3 anni o non erano nemmeno nati.
Loro cercavano lavoro e casa durante il boom economico, noi in crisi finanziaria globale.
Loro contratti a tempo indeterminato e tennis aziendale, noi precariato e co.co.co.
Loro hanno consumato tutto il petrolio, fregandosene degli effetti, e ci hanno passato il problema.
Loro Woodstock noi 11 settembre, loro strisce bianche noi strisce blu.
Insomma alla fine, era tutta una bufala, e la cosa non mi dà ne soddisfazione nè orgoglio generazionale, ma soltanto una preoccupazione: se un giorno avrò un figlio, quando gli dirò: “Quando era giovane papà era un inferno, ora per voi è una passeggiata...” speriamo che sia vero.

01/11/08

Colui che move il sole e l'altre stelle.

L'avevo conosciuta in spiaggia, lei in vacanza coi genitori, io con gli amici. Una storiella estiva come tante. Me ne ero tornato a Roma con un pò di semplice magone, quando mi colse.
Venne così, semplicemente, senza avvisare. Devastante, puro, incontrollabile. La meravigliosa privazione istantanea di tutto, di ogni sostegno vitale, di qualsiasi senso critico e razionale, la voglia di portarmela via per tutta la vita, per sempre con me. Fidanzare, sposare, casa, cani, spesa, figli, crescere, invecchiare e morire con lei accanto.
Tutto insieme, in un solo istantaneo big bang.

E venne quando lei non c'era, era rimasta al mare. Arrivai a Termini, feci di corsa il biglietto sola andata per Palinuro e montai sul primo treno, 400 km di notte sdraiato davanti al ripugnante cesso di un vagone di seconda classe, ma con il fare grave di chi insegue un segretissimo e supremo obiettivo.
Scesi dal treno alle 2 di notte, col cuore in gola, corsi a perdifiato verso il mare. Percorsi il vialetto verso la spiaggia come un ossesso.
L’avrei trovata seduta a guardare il mare.
L’avrei trovata che dormiva in tenda e l’avrei svegliata, terrorizzandola.
L’avrei trovata al bar chiuso del villaggio a parlare con un’amica.
La trovai in spiaggia. C’era un falò e c'era lei. E c’era lui.
Entrai nel cerchio come un automa. Si fece il gelo, il rumore del mare tornò di colpo protagonista della scena. Lei mi guardò sconvolta, si scansò dal tipo di botto, buttandolo sulla sabbia come uno straccio da cucina. Ero svuotato, privato dell’anima da un demone occulto.
Mi sentii come un Dio greco che compare a un personaggio omerico, mentre i ragazzi del gruppo invece mi guardavano come se se gli si fosse reincarnato davanti Jimi Hendrix chiedendogli di poter suonare al loro falò.
Mi voltai e mi avviai spedito verso il vialetto. E non mi girai. Quando ogni singola cellula del mio corpo voleva farlo, non mi girai. Camminando sulla sabbia sentivo il commentare estereffatto dei suoi amici confondersi via via in un vociare indistinto. Cercai con tutte le forze di sentire i suoi passi corrermi dietro. In un unico mitologico istante vidi lei abbracciarmi, piangere, baciarmi, vidi noi salire sul treno per Roma la notte stessa senza biglietto, dormire abbracciati nel bagno del treno. Ma non successe nulla.
Così, camminando all’alba verso la stazione del treno, colui che move il sole e l'altre stelle se ne andò così com'era venuto, mentre un camion di mozzarelle spariva nel rosso dell’alba, lasciando il posto a un un semplicissimo dolore, comune, quasi ovvio.
E me lo assaporai tutto fino in fondo quel dolore, forse perché, come disse qualcuno, è il dolore la suprema emozione di cui l’uomo è capace.

26/10/08

Un uomo e una donna non possono essere amici se uno dei due trova l’altro attraente.

Sono anni e anni, cioè dall’impazzare del film “Harry ti presento Sally” che mi interrogo su questo annosissimo problema. Apparentemente sembra un assunto inattaccabile e assume, anche sperimentalmente, le fattezze di un dogma immortale. Ma da qualche tempo ho iniziato ad avere dei dubbi, c'è qualcosa, non so bene cosa, che non mi torna nella costruzione della frase, cerco di trovarla seguendo l'iter classico di queste situazioni, che si articolano generalmente in sei fasi distinte.

FASE 1- l'età dell'innocenza.
è simpatica, molto carina ma non in quel senso, parliamo bene e ci troviamo sulle cose. Com’è bella questa cosa, lei è rassicurata dal fatto che io non voglia trombarmela come tutti, e io tanto contento che lei lo sia.

FASE 2 – La normalità
Al mare abbiamo fatto la lotta delle coppie in acqua e abbiamo battuto tutti. Siamo andati alla mostra di Pazienza, che piace tanto a entrambi, e la sera cucinato per tutti un buonissimo cous cous.

FASE 3 – l’eunuco.
Mi racconta le sue storie, quello è il maschio più bello non toccatemi quello.
La cosa inizia a provocarmi un arcano ma tangibile senso di malessere, che subito inganascio vigliaccamente nelle remote segrete dell’anima. Il fastidio invece aumenta quando è lei a chiedermi delle mie donne.
Mi sento come vittima di una circesca mutazione, da uomo in un innocuo e rassicurante eunuco di corte.

FASE 4 – Situazioni non parlano.
Ormai è ufficiale: mi piace. Mi affido al veccio adagio di: “lasciar parlare le situazioni e le emozioni, che dicono più di 1000 parole”, ma mi sorge l’odioso dubbio che emozioni e situazioni non dicano poi le stesse cose a tutti e due.

FASE 5 – Il bivio.
Non mi dà il minimo appiglio, mi saluta ed è sempre più affettuosamente e meravigliosamente amica, mentre io la saluterei come un giaguaro saluterebbe una gazzella. Quindi scopro, in un unico apocalittico istante, la portata della mostruosa situazione in cui mi sono cacciato. Non c’è purtroppo alcuna via d’uscita: se gli dicessi che mi piace, al punto in cui siamo, cascherebbe dagli strati sommitali di nuvole stratosferiche, se continuassi così, mi trasformerei inevitabilmente in uno psicotico blocco di frustrazione con le braccia.

FASE 6 –Crash
Il dramma ora è che queste sono situazioni che possono durare anni.
La superiorità della donna sull’uomo mi è ora chiara in maniera mortificante.
Il nostro è un rapporto intenso, profondo, totale, ma che si manterrà per un tempo indefinito sempre quel piccolo maledetto millimetro sotto il bacio.
Ritirata strategica.

A questo punto giungo finalmente alla sudata, piccola ma sostanziale modifica della famosa frase di Billy Crystal:
Un uomo e una donna non possono essere amici, se la donna trova l’uomo attraente.

07/09/08

Il mistero delle bacchette cinesi

Ogni volta che si va al ristorante cinese o giapponese si ripropone il titanico scontro di civiltà rappresentato dal contrapporsi del frutto di millenni di evoluzione umana parallela: forchetta da una parte e bacchette di legno dall’altra.
La prima tentazione è quella di cercare di comportarsi da navigato cosmopolita, maneggiando sapientemente e con chirurgica precisione minuscoli chicchi di riso con lunghe bacchette di bambù.
Dopo i primi goffi tentativi i più onesti cedono, passando a comode e abbondanti cucchiaiate di riso cantonese, i più tenaci invece resistono l’intera cena, rischiando la tendinite.
A quel punto, mentre mi passo tra le dita questi bisbetici oggettini, giungo alla conclusione che forchetta e cucchiaio sono nettamente più adatti alla bisogna, e lo sono con una notevole dose di oggettività, a prescindere dalle differenze culturali.
Qui non si parla di religione o di tradizioni, si tratta di sollevare del riso da una scodella e portarlo alla bocca, è un problema funzionale e basta.
Il fatto che loro ci riescano facilmente non prova nulla, a quel punto sarebbe possibile anche mangiare un piatto di fagioli con una forcina per capelli o la pasta con le pinze.
Tutte le civiltà del passato si sono trovate a dover risolvere i medesimi problemi, poi uno ha trovato la soluzione migliore e quella è diventata di tutti. Quando Marconi ha inventato la radio il telegrafo è scomparso, quando i cinesi stessi hanno inventato la polvere da sparo nessuno ha tirato più pesanti massi con una catapulta, è un semplice discorso di progresso.
La migliore usabilità di forchetta e cucchiaio è evidente per ogni pietanza ma proprio nel riso trova uno schiacciante esempio di superiorità, tanto più che in Oriente qualche geniale precursore della modernità, resosi conto del problema, invece di passare al cucchiaio inventò un rivoluzionario sistema di alimentazione multichicco, cuocendo il riso in modo tale che il suo stesso amido lo appiccicasse in blocchi di 50-100 chicchi per velocizzare i pasti.
Per chi non fosse ancora convinto pongo il seguente quesito: mettiamo che un alieno sbarchi sul nostro pianeta e abbia, visto il lungo viaggio, una gran fame. Mettiamo che gli si offra una bella scodellona di riso e gli si porgano simultaneamente un cucchiaio e una coppia di bacchette di bambù: secondo voi quale userebbe?

28/08/08

Le cose che non vanno mai dette cap.1: B***a s****a

Non è possibile sfuggirgli. A volte lo vedo apparentemente distratto dalla mia fugace silhouette che sfila rapida verso l’uscita della palestra, seminascosto dietro al monitor del desk all’ingresso, concentratissimo a riorganizzare elenchi di soci e a scovare rette non pagate. Anche quelle volte, quando ormai con la porta semiaperta e mezzo corpo fuori penso di averla scampata, mi raggiunge con quelle due parole, affilate come katane di Hattori Hanzo: “Buona serata”.
Mi colpiscono come due fendenti, le interpretazioni a questo punto sono due:
1. Mi vede come un figo inseritissimo che, alle 22.19 di un piovoso mercoledì, non può che apprestarsi a vivere una scoppiettante serata piena di bollicine, risate e testosterone.
2. Mi vede come un mezzo sfigato cui nulla potrà evitare una serata anonima e conformista, fatta di solitudine e televisione satellitare e si diverte crudelmente a ricordarmelo.
Fatto sta che “Buona serata” non va mai detto. È profondamente diverso da “Buongiorno” e “Buonasera”, non è un cliché, una cortesia automatica, è un riferimento più pensato, preciso e ineluttabile, quasi un’intimazione. Può indurre in chi la riceve un pericoloso tourbillon di apocalittici pensieri: “Ma quale serata?”, quando magari se non te lo avessero detto saresti andato avanti così in automatico, senza leopardiani interrogativi.



05/08/08

Il Kirby. Tragedia in tre atti.

Prologo

Accende il mostro e comincia a passarlo sul divano. L'operazione dura 4-5 minuti e, a dire il vero, la trovo abbastanza faticosa. Ogni tanto mi lancia un'occhiatina furba come se stesse per accadere qualcosa di unico al mondo. Ma non succede nulla. Spegne il Kirby e mi guarda raggiante, aspettandosi una mia pirotecnica reazione che non c'è:

"...è....è un aspirapolvere" azzardo timidamente.

Si fa serissimo e aggressivo, come se non aspettasse altro: "Assolutamente no."

"è uno strumento professionale di pulizia e igienizzazione multilivello." Sembra Albert Speer che mostra le V2 al Fuhrer.

Prosegue: "La polvere è soltanto la nostra superficiale definizione di un complesso di insidiosi nemici"

A quel punto apre un gancio sullo strumento e tira fuori un mazzetto di dischi di carta più o meno luridi, comincia a mostrarmeli in serie:

Alza il primo disco come in un saluto romano e sentenzia: "Macropolvere"

Secondo disco: "Micropolvere"

Terzo disco: "Pulviscolo atmosferico"

Quarto disco: "Acari"

Si, bum! Comincio tangibilmente ad alterarmi...ha altri 3 dischi in mano, quindi presumo che possa proseguire fino alle particelle subatomiche. Lo blocco: "Guarda ti ringrazio ma non mi interessa, mi basta spazzare il complesso di insidiosi nemici con la scopa."


Atto I

Si fa grave, contrito, ascetico. Lo sguardo corre lontano, verso l'oscuro distale destino della razza umana: "Sai....il corpo umano è fatto da varie sfere, e tra queste ce n'è una che è la più pericolosa di tutte, e sapete quale?" Sembra il profeta Ezechiele sul fiume Chebar che aspetta trepidante un cenno dai discepoli, lo tolgo da quell'empasse: "No. Qual'è?". A quel punto non vedo come possa uscire dal discorso senza una sparata pseudofilosofica tipo: "la sfera dell'odio" o "la sfera della malvagità umana", invece risponde candidamente: "La sfera delle allergie" e con gestualità solenne sfila dal mostro un ultimo filtro circolare di carta completamente bianco e me lo mostra trionfante, a schiacciante sostegno della sua apocalittica visione della pulizia domestica. È uno straordinario e pasoliniano distillato dell'essenza dell'uomo, semplice e potente nel suo essere trash.


Atto secondo

Cautamente, forse troppo, cerco di approfittare di quel silenzio per inserirmi e cercare di liquidarlo ora: "Guarda, grazie....davvero non mi interessa", ma lo faccio senza troppa determinazione e lui contrattacca, "Aspetta, leggi questo. Io quando l'ho letto non ci potevo credere, mi veniva quasi da piangere..." tira fuori dalla tasca un foglio spiegazzato e me lo dà. È una lettera (ovviamente palesemente finta) di un cliente che racconta che la sua casa andò a fuoco in un incendio per poi crollare togliendogli tutto, anche un figlio. Quando le ruspe, dopo giorni di faticoso lavoro, sgombrarono le macerie, trovarono incredibilmente il Kirby illeso, senza un graffio e ancora perfettamente funzionante.

Mi strappa il foglio di mano e mi si fa sotto per confidarmi il segreto di quel miracolo, a me, solo a me in tutta la terra. Mi sussurra all'orecchio:

"Questo apparecchio è costruito con Kevlar di terza generazione, usato per le corazze protettive dei moderni carri armati e per i nuovi elmetti d'assalto...capisci?"

A quel punto non posso più tacere, devo fermare quel delirio: "Vabbè ma io ci devo pulire casa, mica fa' la guerra...".


Atto terzo

Sembra offeso fino al pertugio più recondito dell'anima. È ferito, deluso, come uno dei Re Magi cui Giuseppe avesse tirato dietro la mirra.

Con aria distaccata mi chiede: "posso fare una telefonata?". Mi sorprende ma al tempo stesso mi conforta. perchè da una parte non mi aspettavo quella mossa, mentre dall'altra la interpreto come un gesto di resa che potrebbe liberarmi del figuro ridonandomi, almeno in parte, la mia mattinata. Ma mi sbaglio.

"Direttore?"

"Direttore mi sente?"

"Direttore ho qui un cliente che è un po' scettico,,,,Si...nonostante l'offerta....sì quella particolare....come dice? No....no direttore...non possiamo....è sicuro? Ma così ci andiamo a rimettere...non è possibile....1.200 euro? A INTERESSI ZERO??? Direttore...non me la sento...."

È veramente troppo, la finta telefonata è troppo: "Me lo passi per favore?" gli faccio diabolico. Lui saluta in fretta, attacca la cornetta e inscena la squallida parte: "il direttore è impazzito, le darebbe il prodotto...." Lo interrompo mettendogli paternamente una mano sulla spalla: "Basta."

e lui, colpito e affondato, con un filo di voce: "...a interessi zero..." - "Ti prego basta. Basta. Lo dico per te. Non c'è nessun direttore e il telefono non funziona. Per me può bastare così".

È annientato, svuotato, annullato. Cala un pesantissimo silenzio, insovvertibile e conclusivo. Lo conduco lentamente alla porta, come si porta un commilitone morente all'ospedale da campo.

31/07/08

1989

1989, perché pensavo che quando Neruda disse: Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni…” fosse vero.

Perché pensavo che avrei giocato per tutta la vita.

Perché pensavo che “i nodi prima o poi vengono sempre al pettine”.

Perché pensavo che compagni di scuola si resta per tutta la vita.

Perché pensavo che i gruppi rock si riunissero perché si mancavano a vicenda.

Perché pensavo di lasciare sempre il segno.

Perché pensavo che stare sotto casa a parlare fosse il massimo.

Perché pensavo che “Okkupare subito è fondamentale”.

Perché pensavo che con una Citroen bianca sarei potuto arrivare in capo al mondo.

Perché pensavo che la Germania Est vinceva le Olimpiadi perché era forte.

Perché pensavo che “l’Attimo fuggente” avrebbe spaccato in due una generazione.

Perché pensavo che “un uomo e una donna non possono essere amici se uno dei due trova l’altro attraente”.

Perché pensavo che saremmo passati alla storia.

Perché pensavo che a vent’anni sarei stato grande.

30/07/08

Il Senior Cap.1

Appena arrivato si attira subito gli sguardi ostili degli altri creativi; il supercomputer a doppio processore che gli è stato certosinamente preparato da giorni e giorni gli ha fatto una pessima pubblicità. Ma è forte di un battage di tutto rispetto: viene da La Grande Agenzia (si veda post relativo). È un senior.

Nei primi giorni si aggira come se fosse lì da sempre, elargendo generosi e rassicuranti sorrisi ai discepoli senza guida che incontra nel corridoio. Ma sempre senza dare quel tanto di confidenza in più che potrebbe abbassarne il profilo.

Passano i giorni e il suo atteggiamento è perfetto: si ambienta subito, dà consigli, ostenta sicurezza, sfoglia contrito voluminosi annual. È navigatissimo. È lo stesso atteggiamento sfrontato e sicuro che ci permette di passare alla metro senza biglietto.

Tra i più attenti della truppa cominciano a serpeggiare i primi sospetti.

Si trattiene a volte nelle stanze altrui a  narrare le proprie gesta passate, anche solo en passant, senza troppa enfasi: lavori, collaborazioni, siti, citazioni, agenzie varie, premi, shortlist.È un marker importante: chi è forte non lo dice mai, né cerca di indurre gli altri a pensarlo.

È come se Federer sentisse l’esigenza di sottolineare di aver vinto 5 Wimbledon prima di affrontare il finlandese Nieminen.

Passano settimane e il personaggio è ormai delineato. È riuscito a mantenere quella posizione di privilegio dalla quale sarà molto difficile tornare indietro. È la forza d’inerzia, una legge fisica cui tutti dobbiamo sottostare. Questa situazione gli permetterà quindi di circondarsi di un’aura di consolidata superiorità, stoppare di petto i brief e smistarli di piatto ai sottoposti, come se un’investitura divina lo rendesse immune ai lavori di merda. I Direttori creativi si sentiranno a quel punto quasi in obbligo di affidargli intuitu personae i brief più creativi. E il tutto senza aver ancora fatto nulla di nulla. È marketing sopraffino. Un miracolo di strategia.

27/07/08

Verde matematico

"Quando si è giovani come te, Zanardi, non si crede a un destino cattivo, poi però ci si accorge che il destino è aiutato da ciò che siamo riusciti a mettere insieme, ed è questo insieme, alla fine, che decide per noi.
Pure caro Zanardi, esistono delle regole che ci vietano di confidare in un miracolo.

E’ assurdo pensare di ritrovarsi un giorno colti, quando non si è letto un libro, o rispettati, se ci si è sempre comportati ingiustamente.

Questi sono miracoli che non possono succedere, così come dal giallo con l’azzurro nascerà sempre il verde, non il rosa o il marrone: è verde. Verde matematico."


Da "Verde Matematico" di Andrea Pazienza.

25/07/08

Il discorso di Superman

Ci sono film in cui se si facesse un time out dopo 25 minuti, si potrebbe già dire per certo chi morirà, chi ucciderà, chi piangerà, chi riderà, chi scoperà, chi tornerà a casa ecc.

Fortunatamente esistono capolavori come il mio film preferito (Leone escluso ovviamente): Kill Bill.

Se vi chiedessero di immaginarvi una scena finale in cui la protagonista, dopo una lunga scia di sangue per giungere ad uccidere il suo amore, reo di aver tentato di ammazzare lei e il nuovo marito per gelosia, è costretta invece, per effetto di un dardo paralizzante che lui le spara, ad ascoltare le ragioni di lui, pensereste mai di partire da Superman?

Alla fine sembra invece che non esistano altri modi all'infuori di quello per spiegare la cosa.


23/07/08

La Grande Agenzia

Emergendo di un'incollatura da una tumultuosa moltitudine di aspiranti discepoli, utilizzando le bassezze più becere, millantando conoscenze mai avute e ingannando astutamente scaltrissime "segretarie-filtro" con frasi del tipo: "Sono il Cav. Giannuzzi di Jaguar Italia...", finalmente sono di fronte al massiccio portone de "la Grande Agenzia".
So di essere finalmente ben attrezzato, ho imparato che per distinguersi dalla massa è richiesto un book altamente competitivo, con un livello di creatività elevato, fresco, aggiornato, nuovo. Trattamenti moderni, alla moda. Attenzione ai nuovi media, ambient, guerrilla marketing, viral, multimedialità. Ad ogni chart bisogna stupire, non essere mai ovvi, mai didascalici, ma i già visti.
Una segretaria, che in quella situazione mi sembra molto più attraente di quello che è, mi conduce lungo un interminabile corridoio fino in sala riunioni. Sbircio dentro le varie stanze il più possibile, cercando di immaginarmi lì, inseritissimo e impegnato in fruttuosissimi brainstorming con copywriters in minigonna, ma dura poco.
In sala riunioni mi siedo e osservo l'enorme logo dell'agenzia a bassorilievo che campeggia littorio sopra di me. Stringo forte il portfolio, cercando di scacciare lo sciame di dubbi che d'improvviso cominciano a ronzargli attorno.
Poi entra lui, palesando l'aria grave e trafelata di uno che è stato fino ad allora impegnato in gravosi progetti da cui dipendono le sorti del pianeta, che riprenderà prontamente subito dopo il nostro colloquio.
Assume una posizione molto teatrale, nel tentativo di darsi un tono e richiamare a se tutto il suo carisma, che riesco invece subito a percepire pari a quello di Paperoga in depressione.
Qualche convenevolo che non decolla, non rompe il ghiaccio, provo una battuta abbastanza spiritosa, ma evidentemente non abbastanza. Lui, serissimo, sta leggendo il curriculum con un aplomb glaciale; è impietrito, quasi fosse una dichiarazione di guerra, ma in realtà è soltanto un atteggiamento, si vede chiaramente. Percepisco nitidamente la formalità, la prassi, il disinteresse, la noia. Inizia a sfogliare il portfolio in un silenzio assordante, si crea nel frattempo un'atmosfera da lusso decadente, di dramma da tardo impero.

Vedo i miei layout scorrere come carte nelle mani di un navigato croupier, con un ritmo perfettamente cadenzato: le campagne uscite, i fake, gli ambient, il btl, il packaging. Stesso tempo al millesimo per ognuno. Tutto lo strategico ordine che avevo escogitato il giorno prima viene divorato in un minuto e quarantacinque di nastro trasportatore. Verrebbe quasi voglia di inserire una foto porno tra i layout per vedere se riesca magari a inceppare quel meccanismo. Quando ha finito il mazzo, tutti i commenti che avevo previsto di fare via via, tipo: "...qui abbiamo scattato e poi aggiunto il 3D..." o: "...qui ho lavorato con Tizio e qui con Caio..." si ammassano tutti insieme nello stesso drammatico istante, con il risultato che non dico proprio nulla e in me si fa strada un sentimento a metà tra la rabbia e la tristezza. La rabbia è un sentimento troppo nobile per lui e la tristezza troppo generoso. La mancanza di rispetto la sento forte e chiara, ma non dico comunque nulla, la sua energia negativa mi ha totalmente annullato. Lui comincia così a parlare della sua agenzia: "Abbiamo quello e quell'altro cliente..." "...abbiamo girato questo spot qui recentemente..." ma lo fa senza smalto, è bolso, consumato, dimesso, senza forza vitale, schiavo di un personaggio costruito solo su una poltrona, su un ruolo, su quei forzati e caricaturali atteggiamenti di superiorità che servono solo ad autodeterminarsi, a sentirsi ancora vivi. Vorrei averlo notato ma non posso fare a meno di farlo.
Pensando queste cose mi assento e penso: perché non alzi la testa e non dici con voce fiera : “Senti, noi siamo una multinazionale e come tale siamo legati a delle direttive che ci vengono dall’estero, purtroppo questo è un periodo difficile e invece di un plus diventa un minus. Allo stato attuale facciamo quindi molti adattamenti, btl e pop, e neanche di altissimo livello.
La creatività pura fresca, moderna, le idee nuove e graffianti che pretendo di vedere nei book non le facciamo da millenni, i guerrilla, gli ambient e i viral di cui lamento sempre la mancanza nei portfoli di chi viene a fare i colloqui in realtà, non solo non li abbiamo mai fatti, ma nemmeno mai visti in giro fatti da altri.
So che sembra assurdo, che appare tutto come un gigantesco bluff, una truffa bella e buona. Ma c'è un motivo, ed è quello che io non mollo. Credo invece che tutto ciò debba cambiare e farò di tutto perché questo avvenga, qui dentro prima che altrove. Perché penso che la pubblicità non sia stare incollato a una poltrona a rimpiangere il passato e guadagnarsi la pagnotta, ma si nutra invece di stimoli continui, di confronti quotidiani, di entusiasmi collettivi, di limiti da porsi, di obiettivi lontani, di energie comuni, di sintonie da costruire, di crescita, di rinnovamento, di idee da portare avanti comunque, anche imponendole, di sacrifici, di rischi, di rinunce, di grandi gioie e di indicibili sofferenze. Questo è quello che io voglio fare, e se anche tu ci credi ti prometto che, quando sarà il momento, io ti cercherò.” .
Vengo invece distolto dal mormorio monotono del suo sermone che è giunto alla fine: “complimenti e grazie mille per essere venuto, abbiamo i suoi riferimenti, le faremo sapere quanto prima, arrivederci”.
Si gira e si avvia frettolosamente verso il buio da cui era venuto. Come un topolino sfreccia verso la tana.

16/07/08

Rituali

Sera. Già da lontano può scorgersi l'adunata oceanica che occupa il piazzale davanti al ponte. Gli uomini, prevalentemente in camicia bianca, impugnano sontuosi cocktail scrutando con sguardo truce e concentratissimo nella moltitudine di persone, come cacciatori di frodo nella foresta. Sembra proprio che cerchino qualcuno o qualcosa di estremamente importante. Poche parole, qualche frase sussurrata al compagno con aria grave. Il gomito sul muretto, fumano lentamente, impostatissimi.

Stanno monitorando la presenza della suprema chimera che intasa il piazzale di macchine di ogni marca, che versa fiumi di profumo, che accende migliaia di lampade UV, che arruffa e pettina gigametri di capelli, cercano di individuare la concentrazione nell'aria del loro reale obiettivo, di quelle cinque lettere che rappresentano la più profonda ossessione di qualsiasi serata: "le fiche".

"Andiamo lì, ci sono le fiche", "…è pieno di fica così". Quale sia l'applicativo di queste fiche è problema complesso. La prima cosa che viene da pensare è che sia la recondita speranza di un contatto, di una conoscenza con "le fiche". Ma qui nessuno può essere tanto stupido da credere veramente al verificarsi di una simile eventualità.
È infatti in atto un circolo vizioso in cui in realtà tutto è completamente bloccato, uomini da una parte e donne dall'altra, blocchi contrapposti. Le donne camminano a 3 metri da terra, elevate al rango di semidee da fiumi di desiderio maschile frustrato, irrigidite dalla tangibile paura che quel qualcuno cui concedessero il 5% della loro confidenza voglia in realtà solo scoparsele.

I maschi di contro si inviperiscono sempre più, associandosi in branchi di lupi affamati che spendono fiumi di soldi, girando come trottole per la città e assediando locali alla ricerca di una conquista stellare che non ci sarà mai. In realtà sono loro stessi ad alimentare la cosa. Se ad esempio una donna non assumesse quell'atteggiamento, che ne so magari si girasse, sorridesse o dicesse qualcosa sfuggendo alle regole del circolo vizioso, sarebbero i maschi stessi i primi a sorprendersi e venire spiazzati per non concludere comunque nulla.

È una grottesca allegoria del corteggiamento animale con la differenza che quasi mai si conclude con l’accoppiamento. È apparenza allo stato brado.

Sfuggire a questo perverso meccanismo è difficile. In genere il branco si divide in due tronconi distinti: un primo blocco prosegue sulla stessa infruttuosa falsariga continuando a sbavare da lontano, o tentando disperati attacchi diretti senza alcuna speranza di successo. Questo gruppo si autoelimina dalla partita chiudendosi sempre più nel torvo buio del branco.

Un secondo gruppo decide invece di continuare la battaglia, usando geniali strategie bonapartiane. E' atteso da lunghissimi ed estenuanti corteggiamenti da gallo cedrone, irti di mille insidie, dove basta una parola fuori posto o un gesto sbagliato e si è irreversibilmente bruciati. È un codice di comportamento basato tutto sulla forma e poco sulla sostanza ed è quindi delicato come un velo di cristallo. Ogni espediente che serva ad aggirare lo scoglio può fare la differenza, la ricerca di una conoscenza in comune, di un aggancio soft, di un qualsiasi straccio di pista che possa portare alla rottura del ghiaccio.
A quel punto si è comunque soltanto all’inizio del cammino. Mantenere ora sempre il basso profilo, far sembrare che andarci a letto è l’ultimo dei nostri pensieri. Farsi vedere però anche figo, inserito, abbronzatissimo, felicissimo, splendido, realizzatissimo, motivato ed entusiasta. Ma sempre non troppo. Modularsi subito sulla lunghezza d'onda richiesta, sciogliere piano piano la diffidenza, rispettare i rituali, i formalismi, non sgarrare mai. Insomma diventa veramente un lavoro immane alla fine del quale, con una percentuale irrisoria rispetto al branco iniziale, l’ultimo manipolo di irriducibili eroi, a imperitura rappresentanza di un intero popolo di stakanovisti di aperitivi, cene e dopocene e inerpicandosi su una montagna costruita sui soldi, le lampade, le camice, le macchine e sul sudore di tutti, ottiene finalmente l’agognato trofeo.
E io che pensavo che certe cose avvenissero per caso.

13/07/08

Solo per chi vuole liberarsi.

Dobbiamo fare un esercizio mentale. Si tratta di un’esperienza davvero sorprendente perché quando la si fa si compie un upgrade estremamente significativo, è come togliersi una spessa patina che ci impedisce di pensare liberamente.
Quanti cittadini svizzeri ci sono a Roma in questo momento? Diciamo 10.000 per dire un numero qualsiasi. Mettiamo per assurdo che questa comunità improvvisamente entri in totale clandestinità, esca dai propri alberghi, dalle proprie case in affitto e costruisca una cittadella di baracche di lamiera e cartone e inizi a vivere nel degrado e nella sporcizia. Immaginiamo che ritiri tutti i propri bambini dalle scuole e li addestri all’accattonaggio e al furto, nel completo rifiuto del lavoro, della vita sociale, dei diritti dell'infanzia e della legge. Diventerebbe senza dubbio un problema, in quanto se si vuole vivere all’interno di un società straniera bisogna giocoforza accettarne le regole e rispettarne le leggi.
Parleremmo di razzismo? O esisterebbe semplicemente il problema? Prendiamo il caso dei Rom: per quanto mi riguarda non è l’essere Rom il problema, se fossero svizzeri o norvegesi per me sarebbe la stessa cosa. Si tratta semplicemente di un problema da risolvere.
Ma istantaneamente tutti i giornali, le radio, le televisioni, Strasburgo, spagnoli, opposizione, benpensanti di governo, Vaticano parlano massicciamente e sistematicamente di razzismo, xenofobia, paura del diverso, ignoranza, intolleranza, fascismo, nazismo.
Io personalmente non mi ci riconosco, ma penso comunque che il problema esista e sia anche di una certa gravità.
C’è semplicemente un apparato sovrastrutturale che sposta automaticamente la questione ogni qualvolta venga posta. È un gioco di prestigio in base al quale il problema miracolosamente sparisce e il tutto si sposta su un piano puramente ideologico.
Con il risultato che in tal modo il problema non si risolve affatto in quanto in realtà è di natura molto più pratica.
E c’è anche il paradosso: le statistiche del Viminale dicono che il 39% dei reati sono commessi da stranieri, tutti lo sanno e vogliono sicurezza, ma allo stesso tempo cercano una scappatoia per non dirlo, per aggirare la cosa, per non essere bollati inesorabilmente come razzisti. È diabolico.
Come gli isreaeliani, che quando vengono messi in difficoltà tirano fuori l'Olocausto. E ci sono mille altri esempi, basta capire il meccanismo e si è liberi per sempre dal giogo.
Cito ad esempio il referendum sul nucleare degli anni '80. Il problema andava posto: “Volete la bolletta raddoppiata, la luce solo 12 ore al giorno o il nucleare?”. Invece tutto fu traslato su un piano semplicisticamente emotivo, senza essere affrontato in maniera lucida e concreta. Alla fine sembrava quasi che un manipolo di scienziati pazzi volesse attentare al pianeta per il semplice gusto di farlo.
Di seguito riporto altri esempi dove scatta inesorabile la trappola: a sinistra dell’= il fatto, spesso inequivocabile, o l’opinione espressa; a destra il “marchio spostaproblema” .
Chiunque fosse riuscito a liberarsi può aggiungerne altri .

Gli immigrati compiono spesso reati = razzismo
Gli israeliani stanno ricostruendo il muro di Berlino = antisemitismo
Un bambino deve crescere con il padre e con la madre = omofobia
La storia del dopoguerra è stata scritta dai vincitori = fascismo
In Italia l'aborto è stato deciso da un referendum popolare = non rispetto della vita umana
La guerra in Iraq non ha alcun senso= comunismo
Hiroshima e Nagasaki sono tra i più grandi crimini della storia = nazismo
Il referendum sul nucleare ha aggravato il problema energetico = non rispetto dell’ambiente
Senza la sperimentazione animale l'85% dei farmaci non esisterebbe = vivisezionismo
I Led Zeppelin sono meglio dei Tokio Hotel = nostalgia

07/07/08

Le parole a volte bastano

Ci sono frasi che sentiamo da una vita, come dei dogmi immortali, tipo “…certe emozioni e certi momenti vanno vissuti, non si possono descrivere.”. Ma tutte le leggi universali hanno la loro eccezione infinitesimale che le rende regole, quindi qualcuno è riuscito a farlo. Catturare un’emozione e riuscire magicamente a conservarla e trasmetterla così com’è: immacolata, potente e inestimabile.

A quel punto non è più l’emozione di un altro, è diventata la nostra, siamo noi a viverla davvero ed è parte del nostro vissuto, ci è stata soltanto “regalata” da un altro.


Immaginate quindi di viaggiare da soli su un autostrada, di fermarvi a un Autogrill qualsiasi e di sedervi al banco, il resto non si può descrivere, ma solo provare...




05/07/08

Aperitivo a Fregene

Prendete un normalissimo stabilimento sulla spiaggia, diciamo a Fregene. Stabilimento di giovani, niente sdraio, solo lettini.

Prendete una lunga passerella di legno che termina in un gazebo, sempre di legno, dove la gente si ripara dalla canicola e consuma panini e bibite all’ombra. Nulla di strano, finchè il sole non si abbassa allungando il suo riflesso sull’acqua non balneabile color patè d’olive taggiasche. È quasi l’ora. È l’”Ape” (aperitivo).


Dal gazebo di prima spuntano enormi casse Bose fino ad allora coperte da un telo come opere da inaugurare, compare un dj mulatto e trendyssimo che prova cuffie e mixer con aria annoiata. Il gazebo, che fino a pochi minuti prima la gente insabbiava e smollicava, viene alla fine transennato dall’elemento chiave di questo crudele apparato: un grosso cordone di canapa. Il miracolo è compiuto: è stato creato il privilegio, il privè, il “dentro-fuori”, quella diabolica molla che viene fatta subdolamente scattare nella testa della gente per la quale chi entra è accettato e chi è fuori viene inesorabilmente relegato a uno stato sociale inferiore. L’unica apertura del cordone, quella con il gancio, viene presidiata da un ceffo ipervitaminizzato che diventa l’unico demiurgo di un grottesco giudizio universale. La gente sembra posseduta da un demone folle, si avvicina all’apertura del cordone all’inizio velocemente, nel tentativo di entrare poi, alle resistenze del ceffo, per non rimbalzare in maniera umiliante, finge di trovarsi lì per caso, allontanandosi lentamente nella speranza che nessuno abbia notato il rifiuto. Chi invece è dentro e ha amici fuori cerca di farli entrare, intercede con lo staff, studia strategie per riunirsi ai propri cari.


C’è un aspetto fortemente tribale in tutto ciò, in realtà non esiste nulla di concretamente agognabile oltre il cordone, aldilà di un paio di grossi cuscini e 4 tappeti, ciò che muove tutto è soltanto il desiderio di essere accettati, di diventare anche il più piccolo degli ingranaggi di una perversa fabbrica dei sogni. Ma non c’è nulla di spontaneo, non c’è divertimento reale, è tutto finto, è solo un avido baraccone che vende la panacea per i nostri profondi bisogni.

Come avrete già capito, io sono uno di quelli che non è entrato.

23/06/08

Sorpresa: gli italiani non sono creativi.

Non ho intenzione di negare che la pubblicità italiana non sia assolutamente al passo con la maggior parte di quella straniera o che paesi come Singapore, Brasile e Ecuador siano maggiormente riconosciuti di noi a livello internazionale.

Ma questo è un “giudizio”, basato sull’analisi di una serie di fatti e quindi, aldilà della soggettiva condivisibilità, è comunque credibile. Ciò che invece non accetto è il “pregiudizio”, in quanto ritengo che si debba avere l’umiltà di riconoscere che un lavoro è valido anche se i 99 precedenti facevano schifo.

È  innegabile che la creatività italiana sia un punto di riferimento imprescindibile del nostro tempo, e nelle forme di espressione più diverse (arte, letteratura, design, moda, cinema, musica, cucina ecc.). Non so quante nazioni al mondo possano vantare un simile inestimabile patrimonio culturale. Penso quindi che nessuno possa affermare che gli italiani non siano un popolo creativo.

È altresì innegabile che nel campo della pubblicità siamo scarsi, ma il punto è che non lo siamo in quanto italiani. Sarebbe come dire che gli inglesi non eccellono nel basket perché non sono sportivi.

Documentandomi sui vari siti di settore e blog vari ho riscontrato un accanimento eccessivo e fortemente pregiudiziale sulla pubblicità italiana, anche quando (purtroppo di rado) non ce n’era alcun ragionevole motivo. La mia riflessione partiva proprio da qui. Paradossalmente sono proprio questi episodi ad avvalorare la tesi che siamo quindi di fronte a un “pregiudizio” che nasce da qualcosa di simile a un complesso di inferiorità. Nessuno stroncherebbe un lavoro portoghese sottolineando che viene dal Portogallo, se ha un minus non può certo essere quello.

Sinceramente penso che questa mancanza di rispetto verso quelle che sono le nostre capacità e la nostra stessa identità sia un aspetto pericoloso e profondamente sbagliato e, stavolta ci vuole, una peculiarità tutta italiana (...pensiamo ai danesi, che sono riusciti a costruire un mito su una sirenetta incrostata di alghe appollaiata su uno scoglio.).

Sicuramente i CannesLions evidenziano il basso livello attuale della nostra pubblicità, fatto che non possiamo certo giustificare solo con la storiella del "cliente ottuso" , ma il mio discorso era più ampio.

Accetto anche volentieri le critiche, purchè siano argomentate e circostanziate ai fatti ma, per quanto impegno ci metta, non riesco proprio ad accettare lezioni di stile e creatività dalla Sierra Leone.

15/06/08

Desperately Seeking Gay 2

Ron
"Piccolina, ti dicevo, bambolina mia Quando ho aperto le mie mani per guardarti Sei volata via …"
da: "Sei volata via"

Lucio Dalla
"Dio quante volte ti ho cercata Dio quante volte ti ho perduta. Quanta vita che è passata La notte ti sognavo Non eri tu."
da: "Dammi un bacio"

A ribadire il concetto del post precedente non sarebbe più coerente dire: "Piccolo mio il ricordo della tua barba sul mio petto mi tormenta..."?

14/06/08

La regola della forbice

Una delle pietre filosofali per l’interpretazione clinica del carnevale umano è la regola della forbice tra la percezione di se stessi (a) e la realtà (b). La forbice può essere positiva, quando a>b o negativa quando b>a. In una società scarsamente meritocratica come la nostra, le forbici positive sono molto frequenti, poichè il contesto può incoraggiarci a pensare di essere migliori di ciò che siamo, e concederci possibilità non commisurate al nostro effettivo valore.
La forbice però ha un limite di apertura, oltrepassato il quale si rompe e ci sconnette in maniera totale e irreversibile dalla realtà. Il soggetto non percepisce alcun cambiamento, ma nella realtà il suo status è mutato immettendosi in una realtà parallela che alberga esclusivamente nella propria testa. Ci si può convincere, ora in maniera definitiva, di essere bravi, o di saper cantare, o di essere belli e sexy con conseguenze grottesche, qualora si occupino posti di responsabilità o centri di potere. A chi non ha oltrepassato tale limite la situazione appare invece sempre più comica in quanto la percezione di se stessi, liberata dal giogo della realtà, può crescere in maniera esponenziale.
Per aiutare la comprensione del concetto allego un esempio tangibile di forbice positiva fuori controllo: si tratta di Pino Scotto, un cantante Heavy Metal anni '80 che trascorse una vita senza infamia e senza lode in un contesto musicale di provincia. Ora, nell'attuale senilità, gli è stato concesso uno spazio di un'ora dalla tv satellitare Rock TV.
Nel primo filmato può osservarsi la forbice in tutta la sua forza: Pino, con atteggiamento da Guru, dispensa consigli e lezioni di vita; in altri filmati (che chi volesse approfondire l'argomento può comodamente trovare su youtube) Pino dà giudizi su Axl Rose, David Coverdale, Jimi Hendrix e Joe Satriani trattandoli da pari a pari, parla dei suoi Fire Trails come competitors degli Iron Maiden, la rottura della forbice lo ha portato nell'olimpo del rock, tra Metallica e Doors. Nella realtà i suoi consigli di vita non sono che un patetico minestrone di banalità e luoghi più o meno comuni, energizzati da un approccio da ribelle con problemi di prostata.
Nel secondo filmato sono mostrate le tangibili conseguenze della forbice: Pino non si accorge che la domanda è solo una provocazione, una presa per il culo anche abbastanza elementare, ma lui non può percepirlo perchè la forbice gli impedisce il diretto contatto con la realtà. Quindi attenzione alle forbici, a quelle degli altri ma soprattutto alla propria.





11/06/08

Desperately Seeking Gay

La parola gay è totalmente sparita da ogni forma di comunicazione di quello che tutti conoscevano come il “Gay Pride”. È rimasto però il “Pride”, rafforzato dal payoff: “Testardamente laicità, dignità, parità.”.
La conseguenza di questa “apertura” è che la manifestazione va quindi considerata una grande convention di “orgogliosi, laici, dignitosi e paritari”. Quindi chiunque si ritenga tale può presentarsi a piazza S. Giovanni, per vedersi mulinare davanti al naso una salva di cazzi da 4 figuri su un carro, vestiti da poliziotti. Come si può richiedere di essere riconosciuti quando si è i primi a nascondersi?
Dalla, Ron, Elton John, George Michael e Tiziano Ferro parlano di uomini nelle loro canzoni d'amore?