28/08/08

Le cose che non vanno mai dette cap.1: B***a s****a

Non è possibile sfuggirgli. A volte lo vedo apparentemente distratto dalla mia fugace silhouette che sfila rapida verso l’uscita della palestra, seminascosto dietro al monitor del desk all’ingresso, concentratissimo a riorganizzare elenchi di soci e a scovare rette non pagate. Anche quelle volte, quando ormai con la porta semiaperta e mezzo corpo fuori penso di averla scampata, mi raggiunge con quelle due parole, affilate come katane di Hattori Hanzo: “Buona serata”.
Mi colpiscono come due fendenti, le interpretazioni a questo punto sono due:
1. Mi vede come un figo inseritissimo che, alle 22.19 di un piovoso mercoledì, non può che apprestarsi a vivere una scoppiettante serata piena di bollicine, risate e testosterone.
2. Mi vede come un mezzo sfigato cui nulla potrà evitare una serata anonima e conformista, fatta di solitudine e televisione satellitare e si diverte crudelmente a ricordarmelo.
Fatto sta che “Buona serata” non va mai detto. È profondamente diverso da “Buongiorno” e “Buonasera”, non è un cliché, una cortesia automatica, è un riferimento più pensato, preciso e ineluttabile, quasi un’intimazione. Può indurre in chi la riceve un pericoloso tourbillon di apocalittici pensieri: “Ma quale serata?”, quando magari se non te lo avessero detto saresti andato avanti così in automatico, senza leopardiani interrogativi.



05/08/08

Il Kirby. Tragedia in tre atti.

Prologo

Accende il mostro e comincia a passarlo sul divano. L'operazione dura 4-5 minuti e, a dire il vero, la trovo abbastanza faticosa. Ogni tanto mi lancia un'occhiatina furba come se stesse per accadere qualcosa di unico al mondo. Ma non succede nulla. Spegne il Kirby e mi guarda raggiante, aspettandosi una mia pirotecnica reazione che non c'è:

"...è....è un aspirapolvere" azzardo timidamente.

Si fa serissimo e aggressivo, come se non aspettasse altro: "Assolutamente no."

"è uno strumento professionale di pulizia e igienizzazione multilivello." Sembra Albert Speer che mostra le V2 al Fuhrer.

Prosegue: "La polvere è soltanto la nostra superficiale definizione di un complesso di insidiosi nemici"

A quel punto apre un gancio sullo strumento e tira fuori un mazzetto di dischi di carta più o meno luridi, comincia a mostrarmeli in serie:

Alza il primo disco come in un saluto romano e sentenzia: "Macropolvere"

Secondo disco: "Micropolvere"

Terzo disco: "Pulviscolo atmosferico"

Quarto disco: "Acari"

Si, bum! Comincio tangibilmente ad alterarmi...ha altri 3 dischi in mano, quindi presumo che possa proseguire fino alle particelle subatomiche. Lo blocco: "Guarda ti ringrazio ma non mi interessa, mi basta spazzare il complesso di insidiosi nemici con la scopa."


Atto I

Si fa grave, contrito, ascetico. Lo sguardo corre lontano, verso l'oscuro distale destino della razza umana: "Sai....il corpo umano è fatto da varie sfere, e tra queste ce n'è una che è la più pericolosa di tutte, e sapete quale?" Sembra il profeta Ezechiele sul fiume Chebar che aspetta trepidante un cenno dai discepoli, lo tolgo da quell'empasse: "No. Qual'è?". A quel punto non vedo come possa uscire dal discorso senza una sparata pseudofilosofica tipo: "la sfera dell'odio" o "la sfera della malvagità umana", invece risponde candidamente: "La sfera delle allergie" e con gestualità solenne sfila dal mostro un ultimo filtro circolare di carta completamente bianco e me lo mostra trionfante, a schiacciante sostegno della sua apocalittica visione della pulizia domestica. È uno straordinario e pasoliniano distillato dell'essenza dell'uomo, semplice e potente nel suo essere trash.


Atto secondo

Cautamente, forse troppo, cerco di approfittare di quel silenzio per inserirmi e cercare di liquidarlo ora: "Guarda, grazie....davvero non mi interessa", ma lo faccio senza troppa determinazione e lui contrattacca, "Aspetta, leggi questo. Io quando l'ho letto non ci potevo credere, mi veniva quasi da piangere..." tira fuori dalla tasca un foglio spiegazzato e me lo dà. È una lettera (ovviamente palesemente finta) di un cliente che racconta che la sua casa andò a fuoco in un incendio per poi crollare togliendogli tutto, anche un figlio. Quando le ruspe, dopo giorni di faticoso lavoro, sgombrarono le macerie, trovarono incredibilmente il Kirby illeso, senza un graffio e ancora perfettamente funzionante.

Mi strappa il foglio di mano e mi si fa sotto per confidarmi il segreto di quel miracolo, a me, solo a me in tutta la terra. Mi sussurra all'orecchio:

"Questo apparecchio è costruito con Kevlar di terza generazione, usato per le corazze protettive dei moderni carri armati e per i nuovi elmetti d'assalto...capisci?"

A quel punto non posso più tacere, devo fermare quel delirio: "Vabbè ma io ci devo pulire casa, mica fa' la guerra...".


Atto terzo

Sembra offeso fino al pertugio più recondito dell'anima. È ferito, deluso, come uno dei Re Magi cui Giuseppe avesse tirato dietro la mirra.

Con aria distaccata mi chiede: "posso fare una telefonata?". Mi sorprende ma al tempo stesso mi conforta. perchè da una parte non mi aspettavo quella mossa, mentre dall'altra la interpreto come un gesto di resa che potrebbe liberarmi del figuro ridonandomi, almeno in parte, la mia mattinata. Ma mi sbaglio.

"Direttore?"

"Direttore mi sente?"

"Direttore ho qui un cliente che è un po' scettico,,,,Si...nonostante l'offerta....sì quella particolare....come dice? No....no direttore...non possiamo....è sicuro? Ma così ci andiamo a rimettere...non è possibile....1.200 euro? A INTERESSI ZERO??? Direttore...non me la sento...."

È veramente troppo, la finta telefonata è troppo: "Me lo passi per favore?" gli faccio diabolico. Lui saluta in fretta, attacca la cornetta e inscena la squallida parte: "il direttore è impazzito, le darebbe il prodotto...." Lo interrompo mettendogli paternamente una mano sulla spalla: "Basta."

e lui, colpito e affondato, con un filo di voce: "...a interessi zero..." - "Ti prego basta. Basta. Lo dico per te. Non c'è nessun direttore e il telefono non funziona. Per me può bastare così".

È annientato, svuotato, annullato. Cala un pesantissimo silenzio, insovvertibile e conclusivo. Lo conduco lentamente alla porta, come si porta un commilitone morente all'ospedale da campo.