05/07/08

Aperitivo a Fregene

Prendete un normalissimo stabilimento sulla spiaggia, diciamo a Fregene. Stabilimento di giovani, niente sdraio, solo lettini.

Prendete una lunga passerella di legno che termina in un gazebo, sempre di legno, dove la gente si ripara dalla canicola e consuma panini e bibite all’ombra. Nulla di strano, finchè il sole non si abbassa allungando il suo riflesso sull’acqua non balneabile color patè d’olive taggiasche. È quasi l’ora. È l’”Ape” (aperitivo).


Dal gazebo di prima spuntano enormi casse Bose fino ad allora coperte da un telo come opere da inaugurare, compare un dj mulatto e trendyssimo che prova cuffie e mixer con aria annoiata. Il gazebo, che fino a pochi minuti prima la gente insabbiava e smollicava, viene alla fine transennato dall’elemento chiave di questo crudele apparato: un grosso cordone di canapa. Il miracolo è compiuto: è stato creato il privilegio, il privè, il “dentro-fuori”, quella diabolica molla che viene fatta subdolamente scattare nella testa della gente per la quale chi entra è accettato e chi è fuori viene inesorabilmente relegato a uno stato sociale inferiore. L’unica apertura del cordone, quella con il gancio, viene presidiata da un ceffo ipervitaminizzato che diventa l’unico demiurgo di un grottesco giudizio universale. La gente sembra posseduta da un demone folle, si avvicina all’apertura del cordone all’inizio velocemente, nel tentativo di entrare poi, alle resistenze del ceffo, per non rimbalzare in maniera umiliante, finge di trovarsi lì per caso, allontanandosi lentamente nella speranza che nessuno abbia notato il rifiuto. Chi invece è dentro e ha amici fuori cerca di farli entrare, intercede con lo staff, studia strategie per riunirsi ai propri cari.


C’è un aspetto fortemente tribale in tutto ciò, in realtà non esiste nulla di concretamente agognabile oltre il cordone, aldilà di un paio di grossi cuscini e 4 tappeti, ciò che muove tutto è soltanto il desiderio di essere accettati, di diventare anche il più piccolo degli ingranaggi di una perversa fabbrica dei sogni. Ma non c’è nulla di spontaneo, non c’è divertimento reale, è tutto finto, è solo un avido baraccone che vende la panacea per i nostri profondi bisogni.

Come avrete già capito, io sono uno di quelli che non è entrato.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi piacerebbe citare il maestro che ci ha guidato e dato forza durante le battaglie giornaliere nella trincea di via Ludovisi, contro le orde di cartapesta che riversano nell'ape serale tutte le frustrazioni di una vita trascorsa in battere. E mai in levare.

"...E ognuno vive dentro ai suoi egoismi
vestiti di sofismi,
e ognuno costruisce il suo sistema
di piccoli rancori irrazionali,
di cosmi personali,
scordando che poi infine tutti avremo
due metri di terreno..."

D.

Anonimo ha detto...

Complimenti. Analisi arguta, profonda, intelligente e davvero sottile dell'evento, trascurando però una variabile non da poco: che se entri magari scopi, se resti fuori scrivi sul blog.

Anonimo ha detto...

... in un certo senso mi sento parte della trincea di via Ludovisi, forse anche perché mi sento in parte responsabile dell'ardimento - spero che ne abbia dimostrato - di uno dei combatteti;

LM, combattente